L’ormone della crescita (anche conosciuto come GH, dall’inglese Growth Hormone) ha un bel nome: pieno, accattivante, convincente. Fa pensare che esista una cosa ben precisa che fa diventare grandi. O, almeno, più alti. E non è poco. In tempi di trionfo dell’apparenza e dell’intreccio continuo tra salute e bellezza, come sono gli attuali, la statura sembra diventata ancora più importante di ogni epoca passata.
Per questo la proposta di un farmaco in grado di “allungare” i bambini che crescono poco si ripresenta ciclicamente. I media ne parlano ogni volta che possono, la voce si sparge e per genitori e pediatri la tentazione di provare l’ultima novità è forte.
Il GH dilaga dagli USA all’Europa. L’occasione per rilanciarne l’uso è un allargamento delle possibilità di prescrizione che c’è stato negli Stati Uniti e che potrebbe estendersi anche alla nostra Europa. Finora, infatti, questa sostanza era consigliata come terapia per alcune patologie come le sindromi di Turner e di Prader-Willy, l’insufficienza renale cronica e, naturalmente, il deficit dell’ormone stesso. A queste disfunzioni potrebbe ora aggiungersi il ritardo di accrescimento in utero per cui nascono “corti”, a gestazione completa, il 3-5% dei neonati, destinati generalmente a recuperare nel tempo. Salvo un 10-15% (di questi nati piccoli) che restano bassi.
La corsa alla prestanza, insieme alla corsa a qualche profitto in più, tende quindi ad allargare l’area dei consumi del GH verso nuove applicazioni. In Italia la spesa per acquistare questo ormone è tra le prime venti voci del bilancio per l’acquisto di farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Una spesa sproporzionata al numero di casi in cui l’uso del farmaco è ragionevole, che non si giustifica neppure considerando l’abuso che se ne fa come doping fra gli atleti. Non era già abbastanza? Forse no, se si pensa a tutti quelli che vorrebbero essere più alti e a tutti quei genitori di figli piccoli che credono che la conquista di centimetri sia un diritto-dovere verso la prole.
Le questioni da affrontare sono allora almeno tre: è vero che l’ormone della crescita fa diventare più alti? Ci sono rischi nel trattamento dei bambini con questo farmaco? È giusto trattare con medicinali bambini che presentano un problema che riguarda più il malessere sociale che quello della salute in senso stretto?
Cerchiamo di dare qualche risposta con il competente aiuto di Brunetto Boscherini, il pediatra che ha studiato e usato il GH per primo in Italia.
«L’ormone della crescita ha un sicuro effetto in casi specifici in cui si riesce a dimostrare la carenza dell’ormone, come, per esempio, nell’ipopituitarismo e in poche altre patologie. Per gli altri bambini con crescita limitata non abbiamo purtroppo dati definitivi per affermare se la somministrazione di questo ormone porti a un guadagno di altezza o no. L’unico studio condotto a lungo termine su bambini di bassa statura trattati dopo gli otto anni di età e seguiti fino alla statura finale è stato condotto in Francia e pubblicato recentemente. Mostra un aumento medio di tre centimetri e mezzo. Il che significa che qualcuno ne avrà guadagnati anche quattro, ma che altri non ne hanno conquistati che uno e mezzo, due o nulla. Sembra quindi di capire che l’ormone della crescita in molti casi non funziona come si vorrebbe».
Eppure quei due centimetri, a volte, possono sembrare già qualcosa. Un tentativo da provare, comunque. Perché quel nostro figlio piccolino ci sembra così indifeso e “diverso” da sperimentare tutte le cure possibili. In fondo, cosa non faremmo per il loro bene? Cercare specialisti, avere la costanza di somministrare l’ormone per mesi e mesi, imporre al Sistema Sanitario una spesa in più, essere pazienti ad aspettare anni per vedere risultati forse deludenti: un sacrificio, va bene, ma poi…
E comunque c’è la tranquillità di averle provate tutte. Il problema vero è che il trattamento con GH non comporta solo questi oneri; come tutti i trattamenti ormonali, mette in moto l’intero organismo e la sua influenza, specialmente nella fase della crescita, può portare ad alterazioni che potrebbero manifestarsi in età adulta. Osserva Boscherini che la questione più grave sta nel rischio di sviluppare nel tempo malattie metaboliche anche gravi, come il diabete mellito tipo adulto. Per cui, riassumendo:
«È vero che l’inizio del trattamento con GH provoca un aumento della crescita. Ma non si sa se questo porta vantaggi sulla statura finale, mentre si sa che si corrono rischi importanti per la salute per lo meno nell’età adulta, se non prima».
Ma i pericoli del domani sembrano spaventare poco rispetto ai desideri di oggi e si stima che i bambini trattati con l’ormone della crescita siano, in Italia, molti di più di quelli che dovrebbero essere. Un calcolo abbastanza preciso lo ha fatto la Commissione Regionale Piemontese preposta alla sorveglianza dei soggetti in trattamento con GH, con risultati sorprendenti che mostrano che le prescrizioni di questo ormone siano il doppio del previsto e che ci si trova anche di fronte a differenze enormi tra una provincia e l’altra.
Segno che ci sono medici di manica larga, pronti a dare il GH a chiunque lo chieda, e medici attenti e disposti a negarlo, quando è giusto, anche a costo di essere antipatici agli occhi dei genitori più insistenti. La conquista della statura, pur intesa nel senso più semplice dei centimetri di altezza, è dunque questione controversa sul piano medico e, sul fronte della ricerca, l’attenzione è puntata allo studio di test e analisi che permettano di individuare con sempre maggior precisione i bambini da trattare, evitando di sottoporli a inutili bombardamenti farmacologici.
C’è molto da capire e da fare ancora, tanto da chiedersi se tutto questo lavoro sia così giustificato per affrontare una questione che non sempre assume le caratteristiche di una vera patologia. Dobbiamo, insomma, considerare la bassa statura come una sorta di malattia da trattare con medicinali? Pensare al destino di Giulio Cesare, Napoleone, Renato Rascel può essere un punto di partenza per qualche riflessione nel rapporto tra statura e successo.
Ma temiamo che non sia sufficiente e aggiungiamo allora, confortati da illustri esperti che si sono espressi su questo argomento, che tutto è lecito purché affrontato con la consapevolezza dei vantaggi e dei rischi che si corrono. Specialmente quando, come accade per i più piccoli, sono altri a decidere e non i diretti interessati.
Tutto, o quasi, comincia in una piccola ghiandola posta alla base del cervello, che si chiama ipofisi e che produce l’ormone della crescita. Se questa non funziona e sintetizza un GH scarso o poco attivo il destino di essere basso è quasi certo. Ma ci sono tanti tipi di “bambini piccoli” e le ragioni di una bassa statura possono essere diverse. A cominciare da quella che tutti vediamo e individuiamo subito: essere figli di genitori non alti. Colpa del DNA.
La statura di ogni individuo è già scritta nei geni trasmessi da mamma e papà. Ma è come una molla: potrà estendersi al massimo o rimanere compressa secondo l’ambiente in cui si troverà quel bambino. Mai, comunque, potrà allungarsi più di quello che è all’inizio. Una buona nutrizione (al primo posto), l’assenza di malattie gravi e l’abbondanza di affetto sono certamente tra i fattori che aiutano questa molla a espandersi al massimo.
A tal proposito, in questo articolo parliamo di come monitorare e valutare la crescita del bambino.
Un principio che funziona non solo nei singoli individui, ma anche a livello di popolazione, come accaduto nell’ultimo secolo in Italia: tutti più alti di ben dieci centimetri in media, come si può facilmente controllare anche in famiglia, con i nipoti quasi sempre più alti di genitori e nonni. Questo vuol dire che il traguardo di essere alti non ha una posizione fissa. Si sposta, va sempre più in là, e la voglia di diventare corazzieri sembra contagiare un po’ tutti.
giornalista freelance, nata a Roma, dove si laurea in Scienze naturali presso l'Università "La Sapienza". In passato ha svolto attività di ricerca biomedica e si è poi dedicata esclusivamente al giornalismo scientifico collaborando con Paese Sera. Conduttrice del programma Radio3scienza della Rai, consulente di programmi televisivi per Rai-educational. È membro del Comitato scientifico del Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste e docente di corsi di giornalismo scientifico presso le università di Roma Tor Vergata e Siena.