Negli ultimi anni, le possibilità per i bambini e i ragazzi di interagire con smartphone, tablet e altri dispositivi sono in costante aumento, sia perché i genitori consentono ai figli l’utilizzo dei propri strumenti digitali, sia per la tendenza – ormai consolidata in molte famiglie – a regalare il primo smartphone già prima dei 10 anni, motivo per cui il parental control diventa fondamentale.
Alcune famiglie decidono invece di consentire l’utilizzo di uno smartphone privo di scheda SIM, utilizzabile solo all’interno delle mura domestiche attraverso il Wi-Fi, e di sfruttare in questo modo i sistemi di parental control. Di che si tratta? Come funzionano? È bene innanzitutto precisare che questi strumenti, nonostante negli ultimi anni stiano diventando sempre più efficaci ed efficienti, non possono essere considerati una soluzione sufficiente per garantire il “benessere” dei figli in rete.
Cos’è il parental control? Una prima spiegazione arriva dalla traduzione in italiano del termine inglese: è una forma di “controllo” che il genitore adotta per essere al corrente delle modalità con cui i figli, quando non accompagnati dagli adulti, utilizzano i dispositivi digitali, e dunque per assicurarsi che non vi sia un accesso a contenuti o a contatti inappropriati. Gradualmente, di pari passo con l’evoluzione degli strumenti e con l’aumento del loro utilizzo, il parental control si pone dunque l’obiettivo di controllare e monitorare in generale quale sia il comportamento dei propri figli mentre interagiscono coi dispositivi.
I primi strumenti di parental control erano pensati per i personal computer e venivano integrati nei browser di navigazione (Internet Explorer, Mozilla Firefox, Google Chrome, Safari e altri) o comunque prevedevano la presenza di programmi in grado di bloccare l’accesso a contenuti ritenuti non idonei, operando così un costante filtro sulle risorse con cui il piccolo utente poteva entrare in contatto.
Vista la diffusione dei dispositivi mobili nella nostra vita, e visto che questi strumenti finiscono sempre di più e sempre prima tra le mani dei ragazzi e dei bambini, il maggior ambito di sviluppo dei sistemi di parental control riguarda ora le App da installare su smartphone e tablet.
Cerchiamo ora di capire come funziona il parental control. Alcuni sistemi consentono di operare un filtro e favoriscono accessi differenziati alle risorse in base a chi utilizza il dispositivo. Un primo livello è rappresentato dai filtri che possono essere impostati attraverso il sistema operativo. Vediamo come si attiva il parental control su Android e su iPhone:
Un secondo livello riguarda l’utilizzo di un software da installare su PC o smartphone che impedisce l’accesso a determinate categorie di siti. Questi programmi operano una valutazione dei contenuti delle pagine che vengono visitate e, se vengono identificate parole-chiave ritenute pericolose in base all’età, scatta il blocco. Altri agiscono bloccando siti ritenuti “negativi”, cercando di mettere a punto una lista in costante aggiornamento di pagine non adeguate.
Una nuova generazione è rappresentata dalle App di parental control (alcuni esempi, oggi disponibili, sono Family link, Mobile Fence, Kids Place, Eyezy, Cerberus), che consentono al genitore di essere al corrente su:
In questo caso, per rendere operativo il dialogo tra i due dispositivi è necessario installare l’applicazione su entrambi, selezionando il ruolo “genitore” sul proprio e associandolo all’account del telefono del figlio. Quando i due dispositivi sono abbinati, diventa possibile operare controlli sugli usi dell’altro smartphone.
Su Android – ma le funzioni, seppur con strumenti diversi, valgono anche per iPhone – i controlli possono riguardare ad esempio: Google Play (il genitore viene avvisato ogni volta che viene fatta richiesta di scaricare una risorsa), Google Chrome (selezione dei siti che possono essere visitati), i dati anagrafici (per evitare che vengano modificati), le ricerche su Google (filtraggio dei contenuti affinché vengano esclusi quelli con espliciti riferimenti sessuali o alla violenza), le App (visualizzazione del tempo di utilizzo, possibilità di impostare limiti o bloccare l’accesso in determinate fasce orarie), la posizione (attivare la geolocalizzazione che mostra dove si trova il dispositivo e i suoi itinerari).
Tanto online quanto offline, il genitore non dovrebbe “sorvegliare” ma osservare ciò che fa il figlio. La differenza non è solo lessicale, visto che a cambiare è l’atteggiamento nei confronti dell’infanzia. La migliore forma di parental control è in realtà quella di accompagnare il piccolo nei momenti critici, facendogli acquisire fiducia e rendendolo responsabile mentre utilizza i dispositivi. Questo atteggiamento dovrebbe riguardare tanto i momenti in cui il figlio è a casa e utilizza gli schermi, quanto i momenti offline, cercando di notare atteggiamenti o comportamenti insoliti e provando a stabilire un dialogo.
Tra i consigli per un parental control efficace sottolineiamo, prima di tutto, l’importanza che il primo a “controllarsi” sia proprio il genitore. Assumere un rapporto attivo, consapevole e critico con gli strumenti significa infatti impostare non solo per i bambini ma anche per noi stessi riflessioni sui tempi di utilizzo dei dispositivi digitali, per capire se questi vengono accesi per esigenze professionali o per intrattenimento, e per interrogarsi se, durante la fruizione, stiamo sottraendo tempo prezioso ai nostri figli o ad altre importanti attività offline. Dunque, prima di “studiare” il comportamento dei nostri figli, proviamo a dare un’occhiata all’App del “benessere digitale” installata sul nostro dispositivo: potremmo stupirci nel vedere quanto tempo passiamo davanti alle App e ai siti web, e deciderci magari a impostare limiti giornalieri per noi stessi.
Un secondo consiglio è diretto proprio al modo di gestire lo strumento: se riteniamo che nostro figlio sia “pronto” per l’utilizzo di un dispositivo digitale, dobbiamo pensare a come responsabilizzarlo. Non ha senso, ad esempio, installare dei software di controllo a sua insaputa, né limitarsi al rimprovero di fronte a un utilizzo eccessivo del dispositivo. Potrebbe essere utile, invece, cercare di concordare insieme quali siano i limiti temporali da impostare durante una giornata, discutendoli e definendoli collettivamente.
Piuttosto che usare il parental control come una “gabbia” (il che può sempre produrre un desiderio di evasione), il ricorso a questo strumento dovrebbe essere condiviso e partecipato, bidirezionale. Potrebbe essere utile, ad esempio, se il genitore condividesse col figlio i dati del proprio smartphone per sottolineare eventuali eccessi nei tempi di utilizzo e la necessità di ridurli. Solo in questo modo si evita di far diventare il parental control un “sistema di spionaggio”, bensì uno strumento educativo che nutre la riflessione e il dialogo.
Terzo consiglio: per quanto le evoluzioni dell’intelligenza artificiale siano costanti e spesso sorprendenti, evitiamo di delegare allo strumento tecnologico delle funzioni umane. Il primo “filtro” dovrebbe essere appunto “umano”: se si ritiene che alcuni contenuti siano inadeguati per i propri figli, una buona strategia potrebbe essere proprio quella – gradualmente, con l’età – di discuterne assieme e interrogarsi sui possibili rischi della loro fruizione e condivisione, per aiutare i bambini a comprendere se una risorsa è attendibile o meno. Un’attività significativa, ad esempio, è ricercare insieme contenuti non attendibili su un determinato argomento o, ancora, provando a guardare insieme cosa significa hate speech e mettersi alla ricerca di commenti che veicolano odio senza motivo, magari basandosi su pregiudizi infondati. In questo modo, il genitore si fa “media educator” ed è lui, prima di ogni tecnologia, il vero “filtro”.
Dunque, via “gabbie”, “guinzagli” o “microspie”, bene invece fornire bussole, aiutare i bambini a orientarsi nei casi in cui dovessero addentrarsi in contenuti o contatti non appropriati, prendendo consapevolezza dei pericoli e invitandoli a cercare di valorizzare le opportunità presenti sul digitale.