Le snocciola una dopo l’altra e quando le leggi senti risuonare un’eco profonda: integrazione, armonia, paura, equità, timidezza. Sono alcune delle parole con le quali Mariapia Veladiano descrive la nostra scuola nel suo ultimo libro, Parole di scuola, appunto (Erickson, 2014). Un libro breve e intenso che riconosce a questa istituzione dello Stato, impoverita e trascurata, un ruolo cardine e insostituibile, quello di «unico luogo in cui tutti, davvero tutti, si incontrano: italiani, stranieri, ragazzi con disabilità, poveri di cultura e di mezzi e ricchi di tutto».
E se è vero che la scuola è la grande occasione per conoscere l’altro, per imparare a stare insieme, per trasformare le parole in esperienze, allora è anche il primo luogo dove s’impara il significato della parola «integrazione» che, come ricorda Veladiano, non è sinonomo d’inclusione, perché non basta stare dentro qualcosa per farne parte. L’integrazione implica un’interazione, un dialogo, una relazione di conoscenza e di rispetto, un cambiamento della realtà esistente, un «farla diventare come deve essere, integra». Implica impegno, curiosità e riconoscimento dell’altro.
Allora anche saper pronunciare i nomi degli alunni, dei compagni, in modo corretto diventa il primo passo verso l’integrazione. Oggi nella scuola arrivano bambini di tutto il mondo, i cui nomi a volte sono difficili da pronunciare, ma se «chiamare per nome significa vedere», confondere, per sciatteria o noncuranza, un nome con un cognome vuol dire togliere significato, negare una storia o cancellarla senza neanche rendersene conto.
E poi, più forte delle altre risuona la parola «equità», o meglio la sua assenza all’interno della scuola. Mariapia Veladiano definisce l’incapacità di garantire l’equità «il male più grande che devasta la scuola italiana», anzi, ancora peggio, imputa alla scuola attuale di agire da «moltiplicatore di disuguaglianza». Non sono sensazioni, sono fatti, lo dimostrano numerosi studi e statistiche che misurano l’inerzia colpevole della politica: in tutte le regioni italiane la dispersione scolastica raggiunge il 10%, a eccezione del ricco Trentino Alto Adige, dove è inferiore al 2%. I risultati nazionali per livelli di competenza vedono gli studenti del Centro, del Sud e delle isole molto al di sotto delle medie nazionale e dei valori OCSE. Basta essere nati nella regione sbagliata e la scuola si trasforma da opportunità in ostacolo da superare, e a non superare gli ostacoli sono sempre gli stessi.
Ma a fronte e, verrebbe da dire, a dispetto delle gravi mancanze di chi governa, ci sono il senso di responsabilità e l’ottimismo di chi la scuola la fa e la vive con passione, di chi riconosce le differenze e sa valutare un ragazzo nel suo essere persona e non solo studente. Così Mariapia Veladiano scrive l’elogio degli studenti timidi, quelli che s’incontrano raramente e scompaiono dietro una classe di esuberanti perché «camminano con passo leggero», ma che pure desiderano esserci «sotto un mantello d’invisibilità». È importante riconoscerli, per non perderli, per dare anche a loro le stesse opportunità degli studenti esuberanti, brillanti, ma spesso a un passo dalla maleducazione.
La conosce bene la scuola Mariapia Veladiano, per aver insegnato tanti anni. Ora è diventata preside e dirige la sua scuola cercando sempre di mettere le parole al centro, perché, afferma, le parole hanno un grandissimo potere, «possono essere forti senza essere violente, possono trasformare il mondo».