Anna e Mario portano la loro bambina, Emma, a fare il richiamo del vaccino MPRV (morbillo, parotite, rosolia e varicella). In sala d’attesa presso l’ufficio vaccinazioni, oltre a loro ci sono un nonno e il suo nipotino. «Certo, come sono cambiati i tempi…», commenta il signore. «Quando ero piccolo io, addirittura se un amichetto o il figlio del vicino si prendeva una di queste malattie, ci portavano in casa loro per farci giocare insieme, così ci ammalavamo anche noi e sviluppavamo l’immunità in modo naturale».
Fortunatamente, oggi questa pratica è stata superata grazie ai progressi della medicina e alla diffusione dei vaccini. Infatti, se un tempo il contagio volontario era visto come un modo per immunizzarsi, oggi sappiamo che ammalarsi di queste malattie comporta dei rischi, soprattutto per i soggetti più vulnerabili.
Mario, ad esempio, ricorda la brutta esperienza di aver contratto la parotite (i cosiddetti “orecchioni”) in età adulta, fortunatamente per lui senza conseguenze gravi.
Ma perché è così importante vaccinare contro la parotite? Gli orecchioni non sono solo un fastidio passeggero? Sebbene spesso abbia effetti lievi, questa malattia può portare a complicazioni serie, specialmente negli adulti o in persone fragili.
La parotite, comunemente nota come “orecchioni” o “parotite epidemica”, è una malattia infettiva di origine virale che colpisce principalmente le ghiandole salivari, in particolare le parotidi, situate dietro la mandibola e sotto le orecchie. Responsabile dell’infezione è il virus della parotite, appartenente alla famiglia dei Paramyxovirus.
Questa patologia era molto diffusa prima dell’introduzione del vaccino MPR (morbillo-parotite-rosolia), grazie al quale l’incidenza si è notevolmente ridotta all’interno dei Paesi in cui il vaccino è entrato a far parte del calendario vaccinale.
Tuttavia, la parotite non è completamente scomparsa e può ancora colpire soggetti non vaccinati o in cui l’efficacia del vaccino è diminuita nel tempo.
Il periodo di incubazione degli orecchioni varia tra i 12 e i 25 giorni, con una media di circa 16-18 giorni.
Per quanto riguarda invece i sintomi della parotite, la malattia inizia spesso con febbre moderata (fino a 39°C, ma possono verificarsi anche casi di parotite senza febbre), mal di testa, dolori muscolari, stanchezza e perdita di appetito. Il sintomo più caratteristico è il gonfiore doloroso di una o entrambe le ghiandole parotidi, che conferisce al viso un aspetto gonfio e caratteristico (detto in gergo “a luna piena”). Il gonfiore massimo si raggiunge in circa tre giorni e può durare fino a 10.
Altri sintomi degli orecchioni comprendono febbre alta, difficoltà a masticare o deglutire, affaticamento e malessere generale.
In alcuni casi, la parotite può manifestarsi in modo lieve o addirittura asintomatico, il che rende possibile la trasmissione dell’infezione anche da parte di soggetti che non mostrano sintomi evidenti.
La diagnosi di parotite si basa principalmente sull’osservazione clinica dei sintomi caratteristici, in particolare il gonfiore delle parotidi. Tuttavia, poiché altre infezioni possono causare sintomi simili, in alcuni casi è necessario ricorrere a esami di laboratorio per confermare la diagnosi.
Gli esami più utilizzati per la diagnosi di parotite includono la ricerca di anticorpi specifici per il virus degli orecchioni e la rilevazione della presenza del virus nel sangue, nella saliva o nel liquido cerebrospinale in caso di complicanze.
Come già accennato, sebbene la parotite abbia generalmente un decorso benigno, in alcuni casi può comportare delle complicanze, soprattutto negli adulti o in persone non vaccinate. Le principali includono:
Il virus della parotite si trasmette attraverso le goccioline respiratorie emesse con tosse o starnuti e tramite il contatto diretto con la saliva di una persona infetta.
Il periodo di contagiosità della parotite inizia circa 6 giorni prima della comparsa dei sintomi e può protrarsi fino a 9 giorni dopo. Il rischio di trasmissione è particolarmente elevato in ambienti chiusi, come scuole e comunità. La parotite è più comune nei bambini tra i 5 e i 9 anni, ma può colpire anche adolescenti e adulti non immunizzati.
Non esiste un trattamento specifico, quindi la terapia della parotite è principalmente legata ai sintomi dolorosi per i quali si utilizzano gli analgesici.
La cura della parotite passa anche attraverso il riposo e una dieta che permetta di evitare fastidi durante la masticazione. Fondamentale, soprattutto nei bambini, è bere a sufficienza per prevenire la disidratazione.
Nei casi più gravi con complicanze, può essere necessario il ricovero ospedaliero per monitorare le condizioni del paziente.
Il vaccino per gli orecchioni non viene somministrato da solo. Il metodo più efficace per prevenire la parotite è ricorrere al vaccino morbillo-parotite-rosolia (MPR), spesso somministrato in combinazione con il vaccino contro la varicella (MPRV).
In Italia, il calendario vaccinale prevede due dosi: la prima a 12-15 mesi e la seconda a 5-6 anni. La vaccinazione è altamente efficace: due dosi offrono una protezione superiore all’88% contro la parotite. Tuttavia, nel tempo l’immunità può diminuire, motivo per cui si verificano focolai anche tra adolescenti e giovani adulti vaccinati. Qualora si esegua un dosaggio anticorpale che conferma la mancata copertura vaccinale, si può ricorrere a un ulteriore richiamo.
L’infezione da parotite durante il primo trimestre di gravidanza è associata a un notevole aumento del rischio di aborto spontaneo, stimato intorno al 25%. Tuttavia, non vi sono evidenze che la parotite in gravidanza causi malformazioni fetali.
Poiché il vaccino utilizza un virus attenuato, non è raccomandato in gravidanza, per questo motivo le donne in età fertile dovrebbero verificare il proprio stato vaccinale prima di una eventuale gestazione e, se necessario, sottoporsi alla vaccinazione.
Sebbene gli orecchioni abbiano, nella maggior parte dei casi, un decorso benigno, occorre sottolineare che possono causare complicanze significative (parotite nell’adulto o in soggetti fragili).
La vaccinazione rappresenta lo strumento più efficace per prevenire l’infezione e le sue potenziali conseguenze, garantendo una protezione duratura contro la malattia.
Pediatra, nel 2024 ha conseguito un Dottorato di Ricerca in Immunologia, Medicina Molecolare e Biotecnologie Applicate presso l’Università di Roma Tor Vergata. Attualmente lavora come Clinical Research Fellow presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, dove svolge attività clinica presso il Dipartimento di Oncoematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico e attività di ricerca presso i laboratori dell’Unità di Terapia Cellulare e Genica delle Malattie Ematologiche.