Parto in casa: la testimonianza di una mamma

Il parto in casa è poco diffuso da noi rispetto al Nord Europa ma è un'alternativa che ha senso prendere in considerazione

Laura Fabrizi , genitore
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Ho sempre pensato che avrei avuto dei bambini, tuttavia solo quando ho conosciuto Paolo, il mio compagno, ho capito che il parto è un momento della vita delicato, da proteggere. Paolo aveva già letto testi sull’infanzia e sul parto attivo. Insieme li abbiamo riletti e discussi, approfondendo i nostri dubbi.

Ci siamo chiesti quanto fosse necessario sottoporsi a pratiche ospedaliere (per esempio imposizioni di brevi tempi di travaglio, parto da supine, nidi e orari rigidi per l’allattamento), condotte più per comodità organizzativa che per necessità, e se non fosse invece più opportuno assicurare alla madre e al bambino una maggiore intimità e protezione. Certamente devo a Paolo, e alla sua passione per la lettura, l’aver capito che interferire con il corso naturale del parto, può renderlo più problematico che sicuro. Insieme, siamo arrivati alla nostra decisione: partorire in casa.

Così, molto presto, ancor prima che rimanessi incinta, abbiamo iniziato a visitare i centri privati che organizzano corsi di preparazione al parto; la scelta di non partorire in ospedale veniva confortata ogni volta che incrociavamo gli sguardi sereni e ascoltavamo i racconti soddisfatti delle mamme che avevano già fatto quest’esperienza. Informandoci molto in anticipo abbiamo potuto capire meglio cosa volevamo. Non è stata una scelta per “sentirci diversi”, piuttosto la consapevolezza che, quando entri in un ospedale, non sei più tu ad avere il controllo della situazione.

Lunghe giornate

Le prime contrazioni del travaglio sono iniziate tre giorni dopo la data presunta del parto, all’alba. Erano poco più che dolori mestruali, durati qualche ora e poi scomparsi. Ad ora di pranzo Ornella, l’ostetrica, mi ha fatto un piacevole massaggio ai piedi, per sollecitare l’inizio del travaglio, ma le contrazioni non tornavano, così ci ha consigliato una bella passeggiata. Paolo e io siamo andati con l’autobus in centro e le contrazioni sono riprese: ancora sopportabili, andavano e venivano ogni mezz’ora e duravano pochi minuti. Ricordo che mi fermavo, mi accostavo a una parete, concentrata, aspettando che passassero.

La notte ho dormito poco. Mi assopivo per risvegliarmi a ogni contrazione, ma riuscivo a sopportarle restando a letto. Ero perfino felice di averle: finalmente erano arrivate! Ho svegliato Paolo solo alle cinque di mattina quando ho sentito un gran botto, ho bagnato il letto e il pavimento correndo verso il bagno, senza dubbio avevo rotto le acque. Erano chiare, andava tutto bene. Da allora le contrazioni si sono fatte più intense e ravvicinate. Ho chiamato Ornella e Domenica, la ginecologa, che sono arrivate verso le 10.

Il travaglio vero e proprio è durato dalle 5 alle 16 con una dilatazione regolare e progressiva. Appena giungeva la contrazione non riuscivo a sedermi, né tanto meno a sdraiarmi, perché in quelle posizioni provavo molto più dolore. Preferivo appoggiarmi a una parete stando in piedi e mi aiutava molto ad alleviare il dolore vocalizzare… appunto le vocali: «Oohhmm», ma anche «Aahhmm! Eehhmm!», come imparato ai corsi pre-parto.

Inoltre, cercavo di visualizzare con la mente un picco o una montagna che saliva man mano che cresceva il dolore, perché questo mi aiutava a ricordare che presto sarebbe sceso. Così era effettivamente per ogni contrazione. Soprattutto sapevo che era normale, naturale, erano tutti dolori produttivi, che avrebbero permesso a mio figlio di attraversare il mio corpo e nascere. Lo vivevo come un qualcosa di magico, cui volevo assolutamente partecipare e a cui non volevo sottrarmi, anche se ciò comportava del dolore da vivere. Ero fiduciosa e pensavo: miliardi di persone sono nate così!

Compagni di viaggio

Paolo, Ornella e Domenica mi erano semplicemente accanto e mi guardavano sereni: sentivo che stava andando tutto bene. Ornella e Paolo a volte mi massaggiavano la schiena energicamente durante le contrazioni. Anche questo alleviava il dolore e dopo un po’ ho preferito farlo da sola, sapevo dove farlo e quanto energicamente. Parlavo pochissimo, non ne avevo voglia, né avevo fame. Paolo mi dava un po’ d’acqua ogni tanto.

Aveva montato un treppiedi con una telecamera che ha documentato molti dei miei «Oohhmm» e tutta la fase espulsiva, fino al parto. Inizialmente pensavo che potesse infastidirmi sapere di essere ripresa in fase di travaglio ma, dopo un primo minuto di perplessità, non ci ho più pensato. Oggi è bellissimo sapere che Giacomo, mio figlio, potrà un giorno vedere quel filmino.

In dirittura d’arrivo

La fase espulsiva è durata dalle 16 alle 19; durante queste ore sono stata anche in acqua, nella vasca da bagno, per rilassare la muscolatura e mi ci sono perfino addormentata. Non so se questa fase sia stata lunga perché Giacomo aveva un giro di cordone intorno al collo, e quindi tendeva a risalire, ma credo sia stato soprattutto il fatto che non avevo capito bene come spingere, perché le contrazioni erano diminuite, duravano poco e così provavo poco dolore contro cui spingere.

Seguivo i suggerimenti di Ornella e Domenica che mi dicevano di restare in posizione accucciata ad aspettare la contrazione, in modo da essere già pronta per sfruttarla tutta. Io, invece, preferivo camminare e sedermi solo al momento giusto. Quando effettivamente ho iniziato a fare come mi veniva più spontaneo, aldilà di tutti i suggerimenti, Giacomo ha iniziato a scendere a ogni spinta. Benedetto l’istinto!

Finalmente insieme

È stato meraviglioso vedere Giacomo spuntare tra le mie gambe e vedermelo consegnare immediatamente tra le braccia con il cordone ancora pulsante. Ho tenuto questo cucciolo bagnato stretto a me insieme a Paolo che mi abbracciava. Giacomo aveva già gli occhi aperti, ci guardava e non piangeva gran che, solo qualche mugolio. Non dimenticherò mai la gioia di quei momenti! Dopo 15-20 minuti il cordone ha smesso di pulsare e Paolo lo ha tagliato.
Ho avuto una piccola contrazione con la quale ho espulso la placenta. Ci siamo trasferiti sul mio letto, dove Domenica mi ha messo due punti. Mi hanno ridato Giacomo che ha iniziato a ciucciare. Poi gli hanno fatto il bagnetto davanti a me. Ornella e Domenica sono andate via, io ho cenato a letto appena Giacomo si è addormentato. Quella prima notte ha dormito sulla mia pancia, lui benissimo, come il papà che era distrutto, io poco per l’eccitazione e la grande emozione.

Articolo pubblicato il 24/06/2013 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura Warchi / iStock

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