Normalmente, il travaglio insorge spontaneamente tra le 37 e le 41 settimane di gravidanza. Esistono però alcune condizioni o patologie che si risolvono solo con l’espletamento del parto, e perciò, in alcuni casi, è necessario intervenire con metodi meccanici o farmacologici cercando di far insorgere il travaglio artificialmente.
L’induzione del travaglio di parto è un intervento medico che interrompe l’evoluzione della gravidanza, e il suo obiettivo primario è ottenere un travaglio attivo. Questa procedura andrebbe presa in considerazione solo qualora si ritenga che i benefici materni e fetali saranno maggiori e i rischi significativamente minori rispetto all’attesa dell’insorgenza spontanea del travaglio di parto, [1] e quando si ritiene che l’avvio della vita extrauterina sia un beneficio per il bambino e per la mamma.
Come tutte le procedure mediche, infatti, anche quella del parto indotto può comportare dei rischi:
Quali sono le indicazioni per l’induzione del travaglio? Scopriamole insieme.
L’OMS definisce “gravidanza protratta” una gestazione che si prolunga oltre le 42 settimane. La comunità scientifica è ad oggi concorde nel proporre l’induzione nelle gravidanze fisiologiche tra le 41 e le 42 settimane, in considerazione dell’aumento delle morti intrauterine nelle gravidanze oltre le 42 settimane. [2]
In caso di rottura prematura delle membrane, cioè prima dell’inizio del travaglio, in assenza di attività contrattile spontanea, tra le 37 e le 41 settimane di gravidanza è possibile, valutando il benessere fetale e il rischio infettivo, tenere una condotta di attesa per le prime 24 ore dalla rottura delle membrane, auspicando l’insorgenza spontanea del travaglio, e successivamente procedere con il metodo d’induzione più idoneo.
In caso di diabete pregravidico il parto indotto va proposto tra le 38 e le 40 settimane. In caso di diabete gestazionale, invece, va proposto a partire dalle 39 settimane. [3]
Altre condizioni, come un rallentamento della crescita intrauterina del bambino o una crescita eccessiva o altre patologie materne (disturbi ipertensivi al termine della gravidanza, pregresso taglio cesareo, colestasi gravidica eccetera), devono essere considerate insieme a diversi altri fattori e gestite caso per caso, tenendo presente le peculiarità di ciascuna gravidanza. Non sempre, infatti, la fine della gravidanza può essere un beneficio, e la decisione dell’induzione arriva dopo uno stretto monitoraggio del benessere materno e fetale.
Chiaramente, non può essere proposta l’induzione del travaglio in tutte quelle condizioni in cui il parto vaginale è controindicato: placenta previa, situazione fetale traversa, prolasso di cordone, cicatrice uterina fundica eccetera.
In questo articolo parliamo invece dell’induzione del travaglio nei casi di parto gemellare.
Nell’immaginario di molte donne, il parto indotto è molto più doloroso di un parto spontaneo; questa convinzione non è del tutto insensata, ed è legata a diversi fattori anche non oggettivi, ma la sicurezza di poter valutare di volta in volta il proprio vissuto rispetto al dolore e avere la consapevolezza del percorso che si sta vivendo, necessariamente ha un impatto positivo sulla metodica stessa e sulla percezione del gradimento dell’esperienza parto.
Nel corso dell’articolo approfondiremo questo argomento in riferimento ai diversi metodi di induzione.
L’indice di Bishop è un sistema standardizzato per la valutazione della maturità della cervice uterina. Tale sistema prende in considerazione le caratteristiche intrinseche della cervice uterina (lunghezza, posizione, appianamento e consistenza) e il livello della parte presentata nello scavo pelvico (la porzione inferiore della grande cavità addomino-pelvica). Maggiore è il punteggio ottenuto, maggiore sarà anche la probabilità del successo dell’induzione.
Il punteggio di Bishop è inoltre fondamentale per decidere quale metodica di induzione (o pre-induzione) sia più indicata a seconda dei casi. Donne che hanno un punteggio di Bishop più basso (e quindi una cervice uterina ancora non ben preparata al travaglio) avranno bisogno di più tempo e, probabilmente, di intraprendere metodiche che hanno come scopo primario la maturazione del collo dell’utero prima di tentare di avviare le contrazioni uterine tipiche del travaglio di parto.
Si cerca, infatti, di replicare il meccanismo fisiologico che dovrebbe avvenire al termine della gravidanza, quando, grazie all’insorgenza delle contrazioni di preparazione non dolorose (a partire dalla trentaquattresima settimana di gravidanza) e grazie ai cambiamenti ormonali, la cervice uterina inizia a prepararsi al travaglio cambiando consistenza, svasandosi, assottigliandosi, e il bimbo si adagia e inizia a confrontare la testa col bacino materno.
Prima di andare ad analizzare i vari metodi di induzione del travaglio è necessario capire come funziona il parto indotto, ponendo l’attenzione su due aspetti apparentemente distanti tra loro che sono alla base di una buon esito della procedura stessa.
Come tutte le procedure mediche, anche l’induzione del travaglio deve essere preceduta da un’accurata informazione della paziente da parte del personale sanitario. Insieme alla coppia vengono analizzate le metodiche e i tempi dell’induzione, nonché le condizioni che orientano verso questa scelta, discutendo poi insieme sui benefici e i rischi. È necessario inoltre fornire informazioni sulla possibilità di usufruire di tecniche di contenimento del dolore.
I metodi di induzione si dividono in metodi non farmacologici e farmacologici.
I primi sono solitamente utilizzati con indici di Bishop bassi (come pre-induzione) o quando si preferisce diminuire il rischio di iperstimolazione uterina (quindi una risposta spropositata della muscolatura uterina con contrazioni incalzanti), per limitare lo stress fetale. Questo, vedremo più avanti, non vale per l’amniorexi, cioè la rottura del sacco amniotico provocata dall’operatore, che solitamente viene praticata in seconda istanza dopo aver prima tentato con altri metodi.
I secondi comprendono: utilizzo di prostaglandine a livello locale; somministrazione endovena dell’ormone ossitocina. Sia le prostaglandine sia l’ossitocina sono, fisiologicamente, ormoni prodotti dal corpo materno che aumentano a fine gravidanza e in vista del travaglio spontaneo e che determinano da una parte la maturazione del collo uterino (le prostaglandine) e dall’altra la stimolazione dell’attività contrattile uterina (l’ossitocina; ne parliamo anche nel nostro articolo sul parto distocico). L’utilizzo di questi ormoni sintetici per l’induzione del travaglio di parto è avviene ormai in tutto il mondo.
Tra i metodi farmacologici, l’utilizzo dell’ossitocina deve essere proposta in presenza di indici di Bishop superiori a sei.
Come già accennato, la scelta del metodo di induzione è fortemente legata al punteggio di Bishop, e nella pratica quotidiana i vari metodi vengono normalmente utilizzati in successione (non necessariamente la stessa con cui ve li presentiamo in questo articolo). Infatti, come detto, con un indice di Bishop sfavorevole si può ragionevolmente prevedere a priori la necessità di una pre-induzione alla quale devono poi seguire altre stimolazioni.
Andiamo adesso ad analizzare i vari metodi di induzione che abbiamo a disposizione, tenendo ben presente che, in base alla metodica scelta, sarà sempre previsto un monitoraggio del benessere fetale adeguato.
La stimolazione del capezzolo può essere fatta direttamente dalla paziente e favorisce l’innalzamento dei livelli di ossitocina. Può essere utile per le donne che hanno una gravidanza fisiologica e che hanno superato le 40 settimane, in modo da stimolare la produzione di ossitocina in attesa dell’insorgenza spontanea del travaglio.
Lo scollamento delle membrane comporta l’inserimento del dito esaminatore oltre l’Orifizio Uterino Interno (OUI) seguito da tre passaggi lungo la sua circonferenza, in modo da separare le membrane amniocoriali dal segmento uterino inferiore; in caso di Orifizio Uterino Esterno (OUE) chiuso, è possibile eseguire un massaggio della cervice uterina con il dito indice e il medio per 15-30 secondi. Questa procedura determina un aumento della produzione di prostaglandine locali.
È importante spiegare bene alla paziente che la procedura può essere fastidiosa al momento dell’esecuzione e determinare nelle successive 24 ore sensazioni dolorose legate a un livello di discomfort accentuato. Con indice di Bishop basso le linee guida del NICE raccomandano l’esecuzione dello scollamento delle membrane per le donne che devono essere sottoposte a induzione del travaglio. Non è raccomandata l’esecuzione di questa procedura a tutte le pazienti.
Gli studi hanno verificato che lo scollamento delle membrane prima dell’induzione farmacologica con PGE2 gel intravaginali, in caso di indice di Bishops favorevole, aumenta il tasso dei parti vaginali, riduce l’uso di ossitocina, garantisce migliore soddisfazione della donna e riduce la durata del travaglio, soprattutto nelle donne che non hanno mai partorito. [4]
È una pratica molto diffusa nella medicina moderna ed è facilmente praticabile quando le membrane amniocoriali sono ben accessibili dalla cervice uterina, attraverso una semplice esplorazione vaginale. L’utilizzo dell’amniorexi come metodo di induzione potrebbe essere raccomandato in presenza di un indice di Bishop favorevole, ottenuto con pre-induzione farmacologica o meccanica.
Non è una pratica dolorosa e serve per aumentare le contrazioni uterine grazie al rilascio di ormoni endogeni e sostanze biochimiche, e per aiutare la progressione della parte presentata fetale. L’utilizzo di routine di questa pratica non è raccomandato per la gestione dei travagli insorti spontaneamente e la letteratura scientifica non è ancora unanime nell’utilizzo della rottura artificiale delle membrane in associazione all’uso di ossitocina. [5]
I dati a disposizione, infatti, sono contrastanti rispetto all’efficacia e alla sicurezza di questi due metodi usati in associazione. L’associazione di amniorexi e ossitocina sembra ridurre la durata del travaglio nelle donne alla prima gravidanza insieme a una riduzione dei parti operativi, ma sembra essere associata a un aumento del rischio di emorragia post parto se paragonata ad altri metodi. Purtroppo non esistono dati sufficienti per esprimere raccomandazioni in merito.
Negli ultimi anni si sono molto diffusi questi dispositivi meccanici, supportati anche da numerosi studi che ne hanno provato l’efficacia, soprattutto in tutte quelle condizioni di indice di Bishop sfavorevole (inferiore o uguale a quattro) utilizzati come pre-induzione. I metodi meccanici stimolano la produzione di prostaglandine locali e di ossitocina endogena attraverso lo stiramento delle membrane amniocoriali e delle fibre muscolari della cervice uterina.
Le evidenze ci dimostrano come questi dispositivi siano associati a un minor rischio di iperstimolazione uterina e come gli esiti siano sovrapponibili agli altri metodi di induzione segnalando anche un minor ricorso al taglio cesareo se paragonati con la sola ossitocina sintetica. [6]
In commercio esistono diversi dispositivi meccanici e i più diffusi sono i dilatatori igroscopici (piccole tavolette di laminaria o di un suo derivato sintetico) e i cateteri trans cervicali con doppio palloncino. I dilatatori igroscopici vengono posizionati dentro la cervice uterina: gonfiandosi grazie al muco e alle sostanze rilasciate dalla cervice determineranno la stimolazione adeguata sul collo dell’utero. I cateteri trans-cervicali, invece, sono dotati di due palloncini (uno posizionato internamente tra l’orifizio uterino interno e le membrane amniocoriali e uno posizionato in vagina) che, una volta gonfiati con soluzione fisiologica, andranno a stimolare localmente la produzione di sostanze endogene utili all’insorgenza del travaglio.
Il posizionamento di questi dispositivi può risultare un po’ più doloroso di una visita vaginale ma del tutto tollerabile da parte delle pazienti. In generale, con questi metodi, quello che si vuole raggiungere non è tanto l’insorgenza del travaglio ma una maturazione della cervice uterina che possa permettere il proseguimento dell’induzione con altre metodiche.
L’ossitocina è il più comune farmaco al mondo utilizzato nel parto indotto. Può essere somministrata per via endovenosa in infusione continua o incrementando il dosaggio a intervalli regolari fino al raggiungimento di un’attività contrattile adeguata. È associabile o meno all’amniorexi, che può essere eseguita prima o dopo la somministrazione.
L’ossitocina rappresenta una carta preziosa da giocare, ma solamente con indice di Bishop favorevole, raggiunto, magari, dopo l’utilizzo di altre metodiche farmacologiche oppure no. Con l’utilizzo dell’infusione di ossitocina è raccomandato il monitoraggio in continuo del benessere fetale e dell’attività contrattile uterina, motivo per cui questa è una procedura da eseguire direttamente nella sala travaglio-parto.
A meno che non si presenti una condizione clinica che spontaneamente porta a un indice di Bishop di per sé favorevole, l’ossitocina rappresenta l’ultima tappa del processo di induzione del travaglio di parto. Per questo si può porre diagnosi di “fallita induzione” se, dopo almeno 12 ore di infusione ossitocica e membrane rotte, non si è ottenuto un travaglio attivo.
Le prostaglandine sono degli ormoni prodotti spontaneamente dalla donna che si prepara ad affrontare il travaglio e giocano un ruolo fondamentale per la maturazione della cervice uterina e per l’insorgenza del travaglio spontaneo. Le prostaglandine sintetiche vengono utilizzate da molto tempo per il parto indotto. Durante l’applicazione, o in seguito, viene valutato il benessere fetale e la risposta uterina con un monitoraggio cardiotocografico. Il rischio relativo all’utilizzo di questi farmaci, infatti, è rappresentato da una maggior incidenza di tachisistolia (cioè insorgenza di contrazioni molto frequenti) che può essere associata o meno ad alterazioni del battito cardiaco fetale. Non si rilevano incrementi di esiti materno-fetale sfavorevoli e di incidenza di parti operativi, ed è stato riscontrato un minor utilizzo di ossitocina.
Esistono diversi dosaggi e diversi metodi di somministrazione, i più utilizzati sono i seguenti:
Con l’utilizzo del dispositivo a rilascio graduale di prostaglandine si ritrova una maggior incidenza di parti vaginali e un minor rischio di tachisistolia uterina (per il vantaggio di poterlo rimuovere in qualsiasi momento).
Alla luce di quanto detto fino ad ora si può ben intendere come siano poco prevedibili i tempi che risultano essere fortemente correlati alla situazione clinica oggettiva di ciascuna donna.
Sicuramente intervenire in una situazione con un indice di Bishop favorevole e su una donna che ha già partorito una volta, diminuisce la durata del parto indotto e aumenta la probabilità di successo.
Ma questo dato non deve impaurire tutte le altre pazienti che devono essere sottoposte a parto indotto. Come già detto, l’informazione passo dopo passo e la possibilità di poter utilizzare strumenti per la gestione del dolore, rappresentano elementi integranti la procedura stessa di induzione.
L’analgesia epidurale o altre tecniche di contenimento del dolore, in assenza di controindicazioni specifiche, dovrebbe essere proposta in quei casi in cui i tempi di induzione del parto si protraggono, sia per dare sollievo emotivo alla paziente sia per togliere le tensioni determinate da un’attività contrattile ancora non coordinata e regolare.
Come per il travaglio spontaneo, anche in caso di induzione, il consiglio più utile per una donna è quello di riuscire a rimanere nell’attesa: attendere e vivere ogni esperienza con apertura e possibilità affidandosi al proprio corpo e al sostegno dei professionisti che incontrerà. Per ogni paura che si affaccia (rischi, dolore, tempo), esiste una soluzione da poter condividere e perseguire!
Ostetrica, si è occupata a lungo di cooperazione internazionale e di progetti sostegno alle salute delle donne migranti. Dal 2007 al 2009 fa parte del pool di ostetriche che danno vita al Centro nascita “Margherita” dell’Azienda Universitaria di Firenze che si occupa del travaglio e del parto fisiologici a esclusiva conduzione ostetrica. Dal 2014 lavora nell’Ospedale Santa Maria Annunziata nel reparto di Ostetricia e in sala parto.