La preadolescenza è una fase di sviluppo e di passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza, in generale individuata nel periodo che va dai 9 ai 12 anni. In questo periodo di vita i bambini e le bambine iniziano a sperimentare dei significativi cambiamenti fisici, emotivi, cognitivi e sociali.
Durante la preadolescenza, infatti, la crescita è accelerata – il corpo si prepara per l’adolescenza – iniziano i primi segni di pubertà e si manifesta un senso molto più forte e marcato di sé e della propria identità. Bambine e bambini desiderano maggiore autonomia dai genitori, le amicizie assumono sempre maggiore importanza e influenza nella vita quotidiana di un preadolescente e si sviluppano nuovi interessi e passioni, anche questi spesso legati alle amicizie. Tra le più grandi sfide della preadolescenza c’è sicuramente l’autostima: può essere un periodo di grandi incertezze riguardo al proprio corpo e alle proprie capacità.
Che ruolo hanno i genitori in questa fase? È fondamentale che i genitori e gli educatori offrano un supporto costante, guidando i preadolescenti attraverso questa fase di transizione con empatia e comprensione. In questo senso, una comunicazione aperta e onesta può aiutare i preadolescenti a sentirsi compresi e sostenuti.
I genitori lo sanno bene, anzi lo sanno prima ancora di averlo sperimentato. Come puntualmente avviene in estate con le canzonette estive, anche la vita ha nelle diverse fasi i suoi tormentoni. Così ogni genitore si è sentito ripetere in svariati momenti della sua personale “carriera” di mamma o papà: “Figli piccoli problemi piccoli, figli grandi problemi grandi”. O anche: “Se è così ora, vedrai quando sarà preadolescente”. Ma è proprio così? La preadolescenza è davvero uno scoglio insormontabile? Si può uscirne indenni? E se sì, come?
Ora, ben sapendo che non è nel nostro stile offrire una serie di istruzioni per l’uso perché ogni storia è una storia a sé, sia a livello personale che familiare che sociale, proveremo a dare alcune indicazioni che possono servire da bussola per prepararsi ad affrontare il cambiamento che la preadolescenza con le sue caratteristiche inevitabilmente porta con sé.
Perché è effettivamente cambiamento la parola che meglio sintetizza questa nuova fase della vita: un cambiamento per certi versi rapido e improvviso su più fronti (non a caso Alberto Pellai e Barbara Tamborini parlano di “età dello tsunami”) che a volte, anzi molto spesso, lascia disorientati.
Tuttavia, questa parola non deve solamente intimorire. La parola crisi, spesso associata al termine cambiamento, non è legata per forza a qualcosa di peggiorativo, ma alla possibilità di scelta e decisione. Ciò è ben chiaro se pensiamo all’ideogramma cinese della stessa parola crisi dove la parola viene raffigurata con due segni che rappresentano insieme il pericolo e l’opportunità.
Che cosa significa questo? Significa che certamente con la preadolescenza dovremo in un certo senso lasciare indietro il nostro bambino e la nostra bambina, quello che ci credeva onnipotenti, ci guardava con gli occhi dell’amore e pensava di avere i genitori migliori del mondo e che non si vergognava di dimostrare tutto l’affetto che aveva dentro.
Ma quello che guadagneremo con la preadolescenza è molto di più: ragazzi e ragazze che si preparano a diventare adulti, individui originali e via via sempre più autonomi e capace di confrontarsi con noi, a patto di lasciare aperta la porta del dialogo, di saper fronteggiare lo tsunami, di diventare porti sicuri, di accettare di metterci in discussione. Perché con la preadolescenza anche le mamme e i papà crescono, eccome.
Caratteristiche della preadolescenza: comportamento ribelle verso gli adulti (che all’improvviso sono così ingiusti); interesse altalenante per l’altro sesso, improvvisa instabilità che può quasi portare alla pazzia (estrema esaltazione-profonda afflizione); senso di inferiorità. Ci si forma inoltre lentamente una propria opinione (che dovrebbe venir rispettata dagli adulti in modo incondizionato). E ancora ciò che si può chiamare emarginazione giovanile. Ciò non vuol dire che i giovani emarginano, bensì che vengono emarginati. Per mia esperienza posso assicurare che può essere qualcosa di molto irritante e frustrante.
Come vivono ragazze e ragazzi questi anni di trasformazione? Lo descrive bene “Il dodicesimo anno, l’inizio della pubertà” di Hermann Koepke, che si apre con il racconto di una ragazza di quattordici anni, che descrive in un diario la sua preadolescenza.
Ma quando ha inizio la preadolescenza? Tecnicamente la pubertà inizia quando i cambiamenti nel cervello provocano il rilascio di ormoni sessuali. In linea di massima la preadolescenza femminile si ha intorno ai 10/11 anni (ma il range è compreso tra gli 8 e i 13 anni); mentre la preadolescenza per i maschi tra gli 11 e i 13 anni, (anche se può variare in un periodo compreso tra i 9 e i 14 anni), ma può anche accadere che ci sia una pubertà precoce.
Con delle differenze più o meno marcate tra i due sessi, alcune delle situazioni che le ragazze e i ragazzi affronteranno sono dei cambiamenti a livello fisico e a livello emotivo, tra cui la paura del giudizio degli altri, gli sbalzi d’umore, il bisogno di rassicurazione alternato a una forte spinta all’autonomia.
L’aspetto di cambiamento più evidente riguarda lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari: nei maschi cambia la voce, compare la peluria, aumenta la massa muscolare, si sviluppano i genitali; nelle femmine si sviluppa il seno, compaiono la peluria e le prime forme femminili.
Non possiamo prevedere con certezza quando effettivamente questi cambiamenti inizieranno, ma sappiamo che tali cambiamenti ormonali sono il principale stimolo alla trasformazione non solo fisica, ma anche emotiva e sociale: nei maschi aumenta la produzione di testosterone che agisce sull’aggressività (cosa che spiega anche l’aumento dell’aggressività e dei comportamenti dirompenti, agiti verso l’esterno); nelle femmine aumenta la produzione di estrogeni e spesso la tendenza a un aumento di sentimenti che potremmo definire “internalizzanti”, come la tristezza.
Tutti questi aspetti insieme costituiscono quel mix, talvolta esplosivo, che caratterizza il preadolescente, che diventa quindi spesso una sorta di “condensato”, non sempre controllabile e spessissimo non controllato (come vedremo a breve) di emozioni intense e difficili da contenere.
Le neuroscienze infatti ci spiegano come in questa fase della vita il “cervello che pensa” (cognitivo) sia molto più immaturo del “cervello che sente” (emotivo), che molto spesso è come “tenuto in scacco” dal primo, con il risultato che spesse volte le azioni dei preadolescenti sono fortemente rivolte verso la ricerca di emozioni forti e intense e molto meno alla riflessività.
Pertanto la fatica dei preadolescenti a gestire l’emotività, e quella degli adulti ad accogliere questa continua altalena emotiva, trovano risposta a livello scientifico.
Il nostro lavoro di adulti è favorire un equilibrio, rimettendo con pazienza (per quanto possibile) in contatto il cervello che “sente” con il cervello che “pensa”, come vedremo nel prossimo paragrafo.
In che modo allora gestire la preadolescenza? E, soprattutto, come affrontare i problemi della preadolescenza? Che consigli dare ai genitori che si trovano a navigare da “surfisti” questi cambiamenti?
Un primo suggerimento è quello di avvicinarsi con delicatezza, cercando di comprendere la sua fatica. Non sta “facendo apposta” a farci perdere le staffe, a non essere controllato, a essere aggressivo. Sta cambiando pelle, sta abbandonando il vecchio guscio che l’ha protetto per anni e sta muovendo i primi passi nella sua nuova condizione.
Ciò non è facile e neppure banale. Se la preadolescenza, infatti, è l’età della ricerca di novità, del desiderio di vivere relazioni sociali intense, dello stato di “effervescenza emotiva”, del desiderio di esplorazione, della creatività e delle prime grandi passioni, non possono mancare alcuni problemi che non tardano a farsi sentire.
Nel libro “Preadolescenza. Il bambino caduto dalle fiabe” di Crocetti, la preadolescenza viene chiamata “età della disillusione”. Come spiega Rycroft (1955) citato all’interno dello stesso testo, il bambino da piccolo si affida totalmente all’onnipotenza magica dei genitori, finché non si sentirà più in grado di fare affidamento sulle proprie competenze personali, scoprendo finalmente se stesso. È come, spiega lo psicanalista, se cadesse dalle fiabe. Ma ogni caduta fa necessariamente (un po’) male.
Come adulti possiamo innanzitutto sostenere questa progressiva autonomia, dandogli dei piccoli compiti – scelti insieme – solo suoi, senza sostituirci a lui. Possono essere piccole incombenze domestiche, la gestione di una paghetta per le proprie spese, la cura del proprio studio oppure ancora la responsabilità delle chiavi di casa. L’idea di fondo è quella di offrire degli spazi in cui sperimentarsi autonomamente ma anche di vivere le conseguenze della mancata autonomia, ad esempio di poter tollerare la frustrazione di un brutto voto o di una nota, prevedendo eventuali sanzioni e conseguenze.
Ciò che è importante ricordare è che nella preadolescenza nostro figlio o figlia non è “già grande”, pertanto alcune regole devono essere date ed essere incontrovertibili, ma non è nemmeno più “piccolo” per cui è necessario guidarlo a leggere quelle conseguenze delle proprie azioni autonome che da solo non può vedere proprio perché ancora non ha gli strumenti (le neuroscienze ce lo spiegano molto bene) per vederle.
I pericoli esistono, certo. Non si possono nascondere, ma lasciando aperta la porta del dialogo, del non giudizio, della curiosità più sincera che apprensiva verso il mondo del figlio o figlia, è possibile creare le giuste condizioni di fiducia per parlare delle situazioni più difficili. Non è un caso che curiosità abbia la stessa radice di cura: se quando nostro figlio era piccolo era necessario occuparsi di lui a volte sostituendosi, con il preadolescente la sfida è quello di accompagnarlo in un mondo che è nuovo per lui ma anche un po’ per noi (di qui la curiosità!), aiutandolo a diventarne protagonista.
Inoltre, se quello che si sta sviluppando in un preadolescente è tutto ciò che è gestito dalla corteccia prefrontale, che è l’ultima parte del cervello a svilupparsi, ovvero il pensiero astratto, la pianificazione, il ragionamento, il giudizio, la presa di decisioni e la regolazione emotiva, quello che possiamo fare è intervenire ed esserci per completare questo processo evolutivo.
Non stiamo dicendo, infatti, che un preadolescente non sia in assoluto in grado di astrarre, pianificare, eccetera ma che va progressivamente aiutato a diventare sempre più autonomo, consapevole e competente in queste azioni.
In altri termini, sempre per riprendere i suggerimenti di Pellai, ciò significa “valorizzare gli impegni che il figlio porta come scoperte, consentendogli, in tal modo, di entrare/uscire, avvicinarsi e allontanarsi nel rapporto con mamma e papà”. Sostenere l’autonomia è dare la possibilità di fare da soli, valorizzando i successi prima di sottolineare le mancanze, nella consapevolezza che un rinforzo positivo vale spesso molto di più di tanti rimproveri.
Ciò funziona anche e soprattutto per la regolazione emotiva: possiamo offrire un valido aiuto ai ragazzi rispondendo all’aggressività e all’impulsività in modo “controllato” sia per offrire un modello valido sia per dare un “contenimento emotivo”.
In quanto genitori tutto questo implica un grande lavoro personale, accompagnato da un’attenzione costante a se stessi, a ciò che ci fa arrabbiare, a ciò che ci fa soffrire o che ci ha ferito, ma anche a ciò che ci può riempire di nuovo entusiasmo. Sicuramente l’adolescenza è un compito difficile per i genitori.
I preadolescenti non sono solo “problemi (più) grandi”: sono prima di tutto un’esplosione di quella passione per la vita, per l’amicizia, per l’amore che spesso noi grandi, sopraffatti dalla quotidianità, dimentichiamo.
Come ci dice Anton Valigt, “Nessuno si sofferma sul periodo di mezzo della vita, quello in cui il bruco lotta per diventare farfalla. […] Dovremmo dare più importanza agli adolescenti, più valore, più rispetto. Sono loro le farfalle che riempiranno di colore il cielo del nostro futuro”.