L’introduzione di un farmaco sul mercato deve sottostare a un principio vecchio quanto la medicina stessa e mai superato: primum non nocere (anzitutto non fare del male).
Parte da qui la sperimentazione, il cui obiettivo è cercare di verificare in laboratorio tutti gli aspetti positivi e negativi di un farmaco. Ecco perché questa prima fase (sintesi di una nuova molecola) può durare da 5 a 10 anni. Si fanno esperimenti sugli animali per valutarne gli effetti sull’organismo e la tossicità: è questo l’inizio di un processo di selezione ben più severo di quello che si possa immaginare.
Si calcola che alla fine solo una sostanza su circa 3.000 sintetizzate passerà all’impiego terapeutico. Le sostanze che superano questa prima fase passano alle prove farmacologiche e tossicologiche cosiddette “secondarie”.
Lo scopo di questo secondo momento di studio, molto più approfondito del precedente, è la comprensione del modo di inattivazione e di eliminazione della sostanza (metabolismo), e il suo comportamento all’interno dell’organismo, al fine di evitare la formazione di sostanze diverse con una azione farmacologica inadatta, o peggio dannosa. Anche questa fase si svolge su animali da laboratorio.
Se a questo punto la sostanza è risultata sfruttabile da un punto di vista terapeutico, senza effetti secondari dannosi, ed è priva di tossicità, si può passare alla sua sperimentazione su volontari sani. Ma siamo ancora molto lontani dalla sua possibile commercializzazione: l’organismo umano, per quanto simile, è comunque diverso da quello di qualsiasi animale, ed effetti tossici non riscontrati sulle cavie potrebbero comparire negli esseri umani.
Il momento della cosiddetta “sperimentazione clinica” è caratterizzato anche dalla ricerca della dose terapeutica ottimale, un limite oltre il quale l’azione terapeutica vantaggiosa del farmaco cessa per lasciare il posto a effetti dannosi (la famosa frase: «non superare le dosi consigliate», che compare nei foglietti illustrativi di ogni farmaco).
Per valutare l’effettiva efficacia del prodotto, e non della suggestione creata sistematicamente ogni volta che si somministra un qualsiasi farmaco, si effettuano protocolli di studio randomizzati (si formano due o più gruppi di pazienti, distribuendo in maniera casuale i soggetti; a ciascun gruppo viene somministrato il farmaco da testare o un farmaco noto con proprietà analoghe a quello da testare, o un “placebo”, cioè una sostanza senza proprietà farmacologiche ma nell’aspetto del tutto simile al farmaco da testare.
La sperimentazione viene fatta in “doppio cieco”: paziente e medico non sanno quale sostanza stanno rispettivamente assumendo o somministrando. Un lungo e accurato controllo consente di evidenziare effetti terapeutici ed eventuali effetti collaterali, secondari o tossici.
Il monitoraggio dei pazienti può durare anche molto tempo: è necessario, infatti, valutare il più possibile gli effetti del farmaco sulla lunga distanza, questo soprattutto per i farmaci destinati al trattamento delle malattie croniche.
Alla fine non resta che affrontare l’ultima, ma non per questo meno rigorosa, fase del nostro viaggio: la registrazione del farmaco da parte del Ministero della Salute. Una commissione di esperti esprime un parere favorevole o contrario; è possibile, in questa fase, che la commissione richieda un supplemento di sperimentazione per chiarire eventuali dubbi.
In caso di parere favorevole, una seconda commissione fissa un prezzo il più possibile equo per le parti: si ha, a questo punto, il decreto del Ministro con cui si autorizza l’immissione in commercio e si approvano i testi di confezione, etichette e foglio illustrativo.