I bambini sviluppano presto una “Teoria della Mente”. Con questa definizione gli psicologi si riferiscono a una serie di competenze del bambino relative alla capacità di mentalizzare il comportamento, ovvero di attribuire stati mentali agli altri, per interpretare e anticipare le loro credenze e azioni. Questo vuol dire che “io penso che tu pensi”: se mamma pensa che io sto dormendo, io posso giocare di nascosto senza che lei lo sappia. Questa competenza sarebbe individuabile precocemente in bambini con sviluppo normale, e farebbe la sua comparsa verso i 2 anni. Inoltre già prima di questa età sarebbero osservabili importanti acquisizioni, come il fatto di indicare per chiedere qualcosa, e l’attenzione condivisa con l’adulto verso un oggetto o un gioco, che servono come importanti allenamenti per imparare a stare con gli altri e comprenderli.
La Teoria della Mente è una capacità cognitiva che permette al piccolo di rappresentare nella sua mente le credenze, le emozioni, le percezioni e i desideri propri e degli altri, e di usare questa conoscenza per fare delle previsioni sui comportamenti futuri. Si osserva il comportamento dell’altro, si intuisce o comprende il pensiero, l’emozione, la credenza che ci sta dietro, e si usa quell’informazione.
Tutto procede per passi e questa capacità compare gradualmente.
A 2 anni il bambino sa riconoscere solo emozioni e desideri suoi e degli altri e non è in grado di comprendere altri tipi di pensieri. In questo momento domina quindi la “psicologia del desiderio”. Se ad esempio Anna, 2 anni e mezzo, vuole la torta, e la mamma le dice che prima deve finire la pasta che ha nel piatto, Anna continuerà a ripetere che però lei vuole la torta. La sua mente è guidata dal desiderio.
Al contrario, verso i 3 anni compare accanto alla psicologia del desiderio quello della “vera credenza”: in questo momento i bambini sono in grado di comprendere le vere credenze, riferite a fatti della realtà concreta, ma non riescono a comprendere ancora bene che ciò che si fa non sempre corrisponde a ciò che si crede.
Per spiegarmi meglio faccio un esempio classico: un litigio per un gioco tra due bambini di 3 anni, Marco e Davide. Marco si lamenta con il papà e dice che Davide è cattivo perché gli ha rotto il giocattolo. Il papà gli spiega che Davide non lo ha fatto apposta, ma Marco continua a dire che pensa che Davide sia cattivo perché gli ha distrutto il gioco.
Solo verso i 4 anni nasce la “psicologia della falsa credenza”: il bambino è in grado di distinguere che la credenza della persona può essere diversa dalla sua credenza: quello che pensa il bambino può non corrispondere al comportamento dell’altro che lui osserva.
Un esperimento classico in psicologia è quello di “Sally e Anne” (“Test della falsa credenza”, Perner & Wilmer, 1983), dove si narra ai bambini, con una semplice vignetta in sequenza, o tramite un video, la seguente situazione: Sally e Anne si trovano nella stessa stanza, dove ci sono una cesta, una scatola e una palla. Sally nasconde la palla nella cesta, poi esce dalla stanza. Mentre Sally non c’è Anne sposta la palla dalla cesta alla scatola. Sally torna nella stanza. Dove cercherà la palla Sally?
I bambini minori di 4 anni tendono a rispondere erroneamente che Sally cercherà la palla nella scatola, perché non riescono ancora a capire che quello che hanno osservato loro, e cioè lo spostamento della palla, non è uguale alla credenza di Sally, che pensa ancora che la palla sia nella cesta.
Da questa nuova competenza ne nascono tante altre.
Riuscire a mettersi nei panni degli altri è alla base dell’empatia e dei comportamenti di altruismo dei bambini, della capacità di entrare in contatto con lo stato d’animo e l’emozione di un’altra persona e adattare il proprio comportamento: se un bambino vede un suo compagno piangere, si avvicinerà per consolarlo o gli darà un abbraccio.
Allo stesso tempo si sviluppa anche la capacità dei bambini di dire bugie, proprio perché hanno capito che la mente è “opaca” e le proprie credenze, i propri pensieri e i propri desideri possono essere diversi da quello che credono gli altri.
Così è possibile manipolare la realtà per ottenere qualcosa di piacevole o sottrarsi a una situazione spiacevole: ad esempio, dico a papà che non sono stato io a rompere la macchinetta telecomandata perché penso che papà si potrebbe arrabbiare. Oppure dico a mamma che oggi non ho mangiato neanche una caramella, anche se l’ho fatto, così posso averne un’altra, perché penso che mamma, in seguito alla mia affermazione, possa darmela.
A livello educativo è molto importante aiutare i bambini a sviluppare tali capacità di mentalizzazione: usiamo un linguaggio che sia ricco di parole legate agli stati emotivi e mentali («sento», «penso», «voglio», «credo», «dubito»…), favoriamo momenti di condivisione sulle giornate che non siano solo elenchi di cose fatte, ma anche di cosa si è provato («oggi al lavoro mi sono proprio stancata, perché…», piuttosto che «oggi al lavoro ho fatto tante cose»), e, a partire dall’età di 10-11 anni, stimoliamo i bambini con letture narrative e biografiche, e quindi con temi che richiedano analisi di pensieri, percezioni, credenze.
Se il bambino sbaglia qualcosa, o se sbagliamo noi, forniamo sempre una spiegazione, perché non sempre ciò che succede coincide con ciò che si voleva o credeva. Stimoliamo il gioco simbolico, dove la finzione non è altro che una manifestazione della capacità del bambino di mentalizzare.