«Mio figlio ha 4 anni ed è molto pauroso. Da cosa può dipendere?»; «Sono preoccupata, i miei figli sono diventati improvvisamente bambini ansiosi, come mai?»; «Giulia e Federico sono sempre stati bambini agitati e un po’ timorosi, io e il papà all’inizio ci chiedevamo come mai ma già da tempo abbiamo accettato la cosa e non ci facciamo quasi più caso».
Esiste forse, oggi, un’epidemia d’ansia nei piccoli? Cerchiamo innanzitutto di capire cosa intendiamo realmente quando usiamo questo termine, “ansia”. Ci riferiamo a un’emozione, a un sintomo, a un disturbo? In questo articolo proveremo a fare un po’ di chiarezza, distinguendo l’ansia come emozione dai disturbi legati all’ansia e fornendo ai genitori alcune indicazioni, provenienti dalla ricerca scientifica, per aiutare i propri figli a gestire le emozioni.
Con il termine ansia (dal latino ango, letteralmente “stringere”) intendiamo uno stato di preoccupazione per qualcosa di poco conosciuto, per un pericolo supposto, incerto o solo immaginato. Differisce dalla paura, che invece rappresenta la reazione fisica e comportamentale che si sperimenta di fronte a un pericolo specifico e reale (sulle paure nei bambini rimandiamo alla lettura dell’articolo della psicologa e psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris Mostri, lupi e fantasmi: di cosa hanno paura i bambini?). L’ansia, così come la paura, è un’emozione comune, che ha funzioni importanti: ci aiuta a mantenere la nostra sicurezza, ci motiva a compiere azioni utili e comunica, a noi stessi e agli altri, informazioni sul nostro mondo interiore. Immaginiamo un atleta prima di una gara o a un bambino con ansia da prestazione scolastica (chi di noi, da piccolo, non ha avuto ansia per la scuola!): l’ansia informa che ciò che si sta affrontando è importante, e quindi implica dei rischi, come perdere una gara dopo mesi di allenamento o fallire di fronte a un pubblico durante una recita.
Tuttavia le manifestazioni d’ansia, se per un lungo periodo non vengono ascoltate o non sono accolte dai genitori, possono trasformarsi, già in tenera età, in sintomi (pensieri specifici che riguardano ad esempio il timore che accadano “cose brutte” alle persone care, o pensieri circa la paura di non farcela, o sintomi somatici quali cefalea, vomito, dolori addominali o agli arti), o strutturarsi in disturbo. La scarsa disponibilità dell’adulto può attivare un circolo vizioso di sofferenza che rende l’ansia più intensa, frequente e duratura rispetto a quella comune.
Dagli studi condotti qualche anno fa dal Dipartimento di Salute e Servizi Mentali degli Stati Uniti emerge che il 3-4% di bambini e adolescenti sarebbe affetto da disturbi di questo tipo, e la situazione in Europa e in Italia sembra essere pressoché analoga.
Ma se dai dati epidemiologici non possiamo parlare di epidemia dei disturbi d’ansia durante l’infanzia, perché molti genitori, insegnanti, educatori e psicologi sono sempre più allarmati per le problematiche emotive dei bambini, legate principalmente proprio all’ansia? Quale risposta possiamo dare? Già dai primi anni di vita inizia quella che molti psicologi chiamano la “danza dell’ansia” tra genitori e figli, fatta di passi rigidi, spesso guidati dalle false credenze dei genitori sulle emozioni. Tra queste troviamo la convinzione errata che le emozioni spiacevoli siano negative: etichettandole come tali si rischia di attivare una continua lotta, in cui si cerca di eliminare, reprimere o controllare l’ansia dei bambini.
Sarà proprio il bambino a fare il primo passo della danza, chiedendo rassicurazioni per evitare le difficoltà, le avversità e per allontanare l’ansia stessa. Ma l’adulto che, pensando di fare bene, si limita a rassicurare il piccolo, proseguirà inconsapevolmente la rigida e impacciata danza dell’ansia, rinforzando il comportamento evitante del bambino. Un equivoco diffuso nella gestione delle paure e delle ansie, infatti, è quello di rispondere alle preoccupazioni dei bambini con eccessive rassicurazioni, con frasi del tipo «stai tranquillo», «non ti preoccupare», «tanto passa», «tanto è facile», «tutto si risolve». Il bambino, ben presto, imparerà i passi del balletto, continuando a sfuggire dalle situazioni che creano preoccupazione e a evitare l’ansia stessa, restringendo i propri spazi vitali.
Facciamo un esempio concreto che riguarda l’ansia da separazione dei bambini. Immaginiamo Claudio al primo giorno di asilo. Il piccolo sa che sta per visitare un posto nuovo, e appena sale in macchina fa già capire di avere paura di allontanarsi da casa. Appena raggiunge la scuola, invece, esprime la sua preoccupazione all’idea di doversi separare dalla madre. Cosa fare? Analizziamo tutta la situazione. Già al primo accenno d’ansia, il piccolo proverà a evitare la situazione, protestando e chiedendo di tornare a casa. L’adulto che risponderà con eccessive rassicurazioni, o accettando la richiesta di fuga del bambino, non farà altro che rinforzare la presenza del presunto pericolo e dell’ansia stessa. In entrambi i casi, il genitore non fornirà indicazioni su come affrontare l’emozione e il piccolo imparerà a confrontarsi con le situazioni difficili, o semplicemente nuove, fuggendo o cercando costantemente rassicurazioni all’esterno. In questo modo viene compromesso il normale sviluppo della sua autonomia.
Il famoso psicologo americano John Gottman, che da trent’anni lavora con l’intelligenza emotiva dei bambini e dei loro genitori, individua tre diversi stili genitoriali disfunzionali, che avrebbero un impatto negativo sullo sviluppo dell’autoregolazione emotiva nell’infanzia e nell’adolescenza.
Secondo i suoi studi alcuni genitori, che definisce noncuranti e censori, tendono a sminuire, ignorare o criticare le emozioni dei bambini, rimproverandoli e punendoli quando questi sono in preda all’ansia. Scarsamente consapevoli delle emozioni dei loro figli, credono che l’ansia sia dannosa, tossica, irrazionale o irrilevante, in ogni caso improduttiva, e che concentrarsi su di essa potrà solo peggiorare le cose. Sono convinti che il bambino che prova ansia non sia equilibrato e che debba limitarsi a obbedire. Generalmente, quindi, provano a calmare i bambini distraendoli, per mettere a tacere le loro emozioni, che sottovalutano e verso le quali mostrano scarso interesse. Ma quali effetti potranno avere a lungo termine queste strategie? Gli studi evidenziano che i bambini inizieranno ben presto a considerare le proprie emozioni come sbagliate, inadeguate e prive di valore, il che contribuisce allo sviluppo di bassa autostima e disturbi ansioso-depressivi.
La terza tipologia è rappresentata da quei genitori, definiti lassisti, che accettano l’ansia e le emozioni in generale, ma non offrono alcuna guida. Spesso si sentono deboli e inermi di fronte alle frustrazioni dei piccoli, non sanno cosa sia giusto fare e non riescono a porre dei limiti al comportamento dei bambini. Generalmente accettano le loro manifestazioni emotive, offrendo conforto, ma con scarse indicazioni riguardo al comportamento da adottare e senza insegnare nulla ai piccoli sulle loro emozioni. A lungo termine, i figli dei genitori che hanno questo stile educativo rischiano di non imparare ad autoregolare la propria ansia, di sviluppare problemi di concentrazione, difficoltà sociali, egocentrismo, tendenza alle dipendenze e bassa tolleranza alle frustrazioni.
Quali caratteristiche dovrebbe possedere, allora, un genitore “allenatore emotivo”? Come è possibile guidare i propri piccoli in una danza dell’ansia che sia flessibile e armoniosa? Qualsiasi adulto può riuscirci, se impara a riconoscere nelle emozioni spiacevoli un terreno di crescita. Non servono certo calmanti per i bambini, quanto piuttosto mostrarsi disponibili all’ascolto, essere consapevoli e dare valore alle proprie emozioni e a quelle del figlio.
Vediamo alcune indicazioni su come comportarci di fronte all’ansia dei nostri bambini:
Cavalcare l’onda emotiva insieme al bambino gli insegnerà che l’ansia non esploderà, che non sarà permanente e che si trasformerà in un’opportunità per sperimentare nuove abilità di gestione emotiva.