Che si tratti di una visita dentistica, di un controllo dal pediatra o di una vaccinazione, poco importa. In tutti questi casi, infatti, il bambino può sperimentare quella sensazione che viene comunemente chiamata “paura del dottore”, che fa parte delle paure più comuni dei nostri figli. Di solito accade che il piccolo avverta un timore che viene presto superato, ma in alcune situazioni il disagio emotivo può essere maggiore, soprattutto se la paura viene confermata e amplificata da esperienze negative e dolorose.
«No dottole, no!», ripete tra i singhiozzi un bambino vicino all’ambulatorio del pediatra. «Stai tranquillo, non ti può fare niente se ci sono io con te» lo rassicura la mamma. «Lo controllo io» aggiunge il papà. La visita comincia e dopo un po’ il pianto si quieta, la porta si riapre, e mentre la famiglia saluta il medico arriva la nonna, che si lancia verso il piccolo dicendo: «Che ti ha fatto, gioia? Ti ha fatto la bua? Andiamo, adesso è tutto finito».
Riflettendo su questo episodio osserviamo come mamma, papà e nonna avessero la migliore delle intenzioni, ossia quella di rassicurare e consolare. Ma qual è, invece, il messaggio che il bambino potrebbe aver percepito? «Il pediatra è una persona che potenzialmente potrebbe farmi del male e da cui bisogna stare in guardia. Insomma, faccio proprio bene a protestare, non c’è molto da stare tranquilli». Ecco perché è importante presentare lo specialista con parole positive, come un amico di grandi e piccini. Per farlo è necessario riflettere sulle nostre paure: se noi per primi abbiamo timore del medico, rischiamo di influenzare nostro figlio in questa direzione.
Durante la visita dal pediatra, parole e azioni dei genitori possono aiutare il bambino a capire che può fidarsi di chi ha di fronte. Se chiediamo a un bimbo di 2 anni di entrare in ambulatorio prima dei genitori, probabilmente si bloccherà immobilizzandosi sulla porta. Questo perché ha bisogno che papà e mamma gli “aprano la strada”, andando dentro per primi e salutando sereni e sorridenti il medico: anche senza dir niente, in questo modo i genitori gli hanno comunicato che quello è un ambiente favorevole e sicuro per tutti loro.
Leggere libri, inventare storie, disegnare e giocare insieme “al dottore” sono modi per parlare insieme ai piccoli della paura, ricordandosi di accogliere sempre l’emozione del bambino senza minimizzare né enfatizzare la preoccupazione.
Un altro consiglio è quello di cogliere le occasioni quotidiane per condividere con il bambino le proprie emozioni («sai, stamattina mi sono spaventato quando…»). Questo aiuterà a entrare in empatia con il piccolo, a insegnargli a dare un nome a ciò che sente, e gli offrirà un esempio su come affrontare e gestire le proprie emozioni.
Qualche tempo fa ho incontrato casualmente Simone, un bimbo di 8 anni, che in quel momento si trovava con la sua mamma. È agitato, mi racconta che deve andare dal dentista e che questa cosa lo spaventa molto. Gli chiedo cosa farà dal dentista e lui, che non sa rispondere, guarda la mamma. Lei mi dice che Simone dovrà affrontare una piccola operazione per il taglio del frenulo linguale. Ne parliamo un po’ e capisco che il bambino non ha per niente chiaro cosa accadrà e che, per lui, alcune parole che ha sentito pronunciare (come «operazione») risultano davvero spaventose. Dico che capita a tutti di avere paura delle cose che non si conoscono, soprattutto se hanno nomi strani, e consiglio (sempre al bambino) di fare tante domande al dentista: «Cosa accadrà dentro la mia bocca? Mi farai male?».
È sempre importante raccontare al bambino cosa accadrà, sia che si tratti di un banale controllo di routine o di questioni più delicate come interventi chirurgici e ricoveri ospedalieri. Va utilizzato un linguaggio coerente con l’età, cercando di affrontare la paura insieme al bambino: «Adesso il medico prende questo oggetto strano che ha un nome molto buffo… si chiama stetoscopio. Serve per ascoltare il cuore. Ascoltiamo prima quello di mamma e poi il tuo?»; «Dobbiamo fare una puntura, sentirai per un attimo un pizzicotto e poi basta».
Mamma e papà, inoltre, devono sapere che non bisogna mai dire bugie, perché ritrovarsi a sorpresa con l’ago nel braccio lascerà un brutto ricordo del medico, farà aumentare la paura e minerà la fiducia del bambino che si sentirà tradito anche dai genitori. Al contrario, sapere cosa succederà ridimensiona le fantasie angoscianti e restituisce al piccolo un potenziale controllo su ciò che sta avvenendo, permettendogli di sbloccare le proprie risorse e far fronte a quella situazione, anche se difficile e dolorosa.
Non indossare il camice, o decorarlo in modo simpatico e attraente, e un ambiente a misura di bambino (colorato, attrezzato con qualche gioco e libro) faranno sentire i piccoli a loro agio.
In alcune fasi di crescita il bambino è estremamente diffidente e non vuole essere toccato da mani estranee: i genitori possono chiedere al pediatra di tenere in braccio il bambino durante la visita e di essere loro a spogliarlo, rivestirlo, poggiarlo sulla bilancia, e così via. In seguito, crescendo, il bambino potrà essere sempre più coinvolto, e lo specialista di turno potrà spiegargli cosa sta per fare. A volte capita che, durante la visita, medico e genitori parlino tra loro della salute del bambino o dei suoi comportamenti, come se lui non ci fosse. Ma bisogna ricordare che il piccolo è sempre presente e attento a ciò che lo riguarda e da cui si sente escluso. In particolare, alcune parole dette dagli adulti possono essere fraintese dal bambino e dar luogo a fantasie paurose («ho sentito che mi devono mettere una cosa dentro gli occhi»). È bene quindi che il medico si rivolga direttamente al bambino, chiedendogli come sta, facendosi raccontare i suoi pensieri, e spiegando anche a lui che dovrà mettere, ad esempio, un collirio per la congiuntivite. Il rapporto di fiducia tra specialista, bambino e genitori, inoltre, può far diventare le visite un momento più sereno per tutti, e rende il lavoro anche più accurato.
Sul diritto del bambino a essere informato e coinvolto nelle pratiche sanitarie che lo riguardano, i genitori possono consultare La carta dei diritti dei bambini in ospedale. Sulle modalità di approccio del pediatra, invece, consigliamo la lettura dell’articolo Il piccolo paziente rappresenta il “suo dottore”, «Quaderni ACP».
pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione e accompagnamento alla morte e all’esperienza della perdita, si occupa di famiglie adottive e lavora come formatrice per gli operatori di nidi e scuole dell’infanzia nella provincia di Messina. È stata vicedirettrice di Uppa magazine dal 2018 e dal 2022 ne è diventata direttrice.