Sono la mamma di uno splendido bambino di quasi tre anni. Col mio compagno le cose non vanno bene. Stiamo insieme solo per nostro figlio. Non credo sia giusto che io continui a sacrificare la mia vita, però le paure sono tante, soprattutto quella di ferire il mio piccolo, portandolo via di casa e dal padre. Intanto dobbiamo andare dall’avvocato per definire i doveri per il futuro. Io sono decisa, ma non voglio ferire mio figlio. Cosa devo fare?
Quando si è dentro ai problemi (come quello che sta vivendo lei: da un lato vorrei separarmi dal mio compagno, perché le cose non vanno bene tra noi; dall’altro lato temo che la nostra separazione procuri dolore e difficoltà a nostro figlio) è facile trovarsi a non saper come affrontarli, perché, vedendoli troppo da vicino, si rischia di perdere la visione panoramica complessiva.
Per potersi orientare, oltre a prendere in considerazione un percorso di mediazione, può essere utile ripensare agli inizi delle situazioni. Per quel che riguarda la formazione di una coppia amorosa, gli inizi prescindono quasi sempre e quasi del tutto dai figli. Ci si mette insieme perché ci si piace, perché ci si può riconoscere nel partner, perché si desidera procurarsi reciprocamente piacere, perché si percepisce che si può instaurare insieme una buona intesa affettiva. È raro che si desideri mettersi insieme prima di tutto per fare dei figli. Questo scopo, di solito, viene dopo: è una conseguenza del desiderio di reciprocità nel rapporto diretto fra i due partner.
Come ogni progetto comune che non abbia per finalità diretta la coppia stessa e i due partner, anche quello di fare dei figli non è sufficiente a tenere insieme la coppia. Fino a pochi anni fa, con l’idea di salvaguardare l’interesse dei figli, molti genitori pensavano di far bene a cercare sistematicamente di passar sopra ai problemi relazionali della coppia, facendo finta che non ci fossero. Spesso, però, era poi molto tardi quando si accorgevano di avere sacrificato pesantemente e invano gran parte della propria vita.
Anzi: quasi sempre, quando due stanno insieme “solo per i figli”, non solo perdono la propria vita, ma nei fatti danneggiano, spesso gravemente, anche quella dei figli, perché questi diventano il fulcro su cui la coppia pretende di appoggiarsi per sopravvivere. I genitori non se ne accorgono quasi mai, e i figli, pur accorgendosene, non osano pensare che è un’ingiustizia il fatto che sulle loro piccole spalle venga posto a gravare il peso del destino della coppia dei genitori. Perché è di questo che si tratta. Le piccole spalle dei figli non sono in grado di reggere un compito per loro del tutto sproporzionato.
Affinché le cose funzionino bene, la relazione fra partner amorosi, sia nella mente di ognuno dei due sia nelle scelte reali, deve essere sempre distinta con chiarezza da ogni altra relazione (comprese quelle con i propri genitori e quelle con i propri figli) e deve comunque avere la precedenza su ognuna di esse. Metterla in subordine crea inevitabilmente dei guai.
Quasi sempre, la decisione di stare insieme “solo per i figli” è un alibi. Sembra una motivazione accettabile, addirittura encomiabile, meritoria, fondata su una pretesa generosità e su un maturo senso di responsabilità: «Per loro, mi sacrifico. Ho donato loro la vita, facendoli nascere, e adesso sacrifico la mia vita per loro». Basta poco, però, per accorgersi che queste motivazioni ne coprono altre, sentite come meno presentabili, meno encomiabili, meno meritorie, quali, per esempio, la paura della solitudine; la paura di non riuscire a dare una svolta alla propria vita; la paura di rinunciare a una persona conosciuta cui potersi comunque aggrappare, magari scaricando su di lei la responsabilità delle proprie frustrazioni; o, ancora, la paura di non essere più in grado di trovare un nuovo partner amoroso.
È pesante, inoltre, l’insieme di messaggi che si danno, sottobanco, ai figli, quando si sacrificano oltre misura le proprie esigenze amorose. È come dir loro che nella vita bisogna annullare la propria soggettività; che, in fondo, l’amore è una cosa irrilevante; che spegnersi o ricurvarsi in una relazionalità chiusa, litigiosa o rancorosa è meglio che cercare di recuperarsi a una nuova vita.
È inevitabile che i figli arrivino a pensare (in modo più o meno inconsapevole) cose terribili, dalle conseguenze pesanti, tipo: «È colpa mia se mamma e papà sono infelici. È perché io esisto. Sarebbe meglio che io non esistessi. Se sparisco, li libero e li salvo». O cose terribilmente invischianti, come: «Sono io che devo ricolmare di felicità la mamma (o il papà). Sono io che devo essere il sostituto del suo deludente partner amoroso. Per ricompensarla del sacrificio, non posso permettermi di realizzare una mia propria vita amorosa. Rifuggirò l’amore, così le resterò sempre fedele».
Il rischio è che, cresciuti, i figli si convincano che la vita amorosa non sia poi gran cosa, e che rifuggano dal realizzare sé stessi nelle loro proprie relazioni amorose. Che nascondano la loro sostanziale paura dell’amore, come fosse una realtà troppo pericolosa, dietro pretestuose idealità coercitive. Proprio come hanno tragicamente imparato dall’esempio fuorviante dei genitori.
Questo non vuol dire che, al primo screzio, bisogna separarsi per i figli. Significa che, per la coppia amorosa, nelle decisioni sul separarsi o continuare a stare insieme i figli non devono entrarci minimamente. Questo sì per il bene dei figli (e dei partner). Non è possibile che i genitori si separino senza che i figli soffrano. Ma soffrirebbero di più se stessero insieme per forza. Bisogna aiutarli ad affrontare il loro dolore per la perdita della coppia genitoriale stabile, spiegando chiaramente che non è colpa loro se papà e mamma si separano e che la vita è fatta anche così. Ma che la si può affrontare.
Donata Francescato, Figli sereni di amori smarriti. Ragazzi e adulti dopo la separazione, Mondadori.
Molto chiaro e con tanti esempi, mostra come per i figli sia meglio se i genitori che non riescono più ad andare d’accordo si separino, piuttosto che sforzarsi di stare insieme a tutti i costi
Donata Francescato, Quando l’amore finisce, Il Mulino.
Bellissimo libro, utile non solo quando l’amore finisce, ma anche quando comincia, quando dura o quando non c’è. Rivolto alla coppia amorosa, non specificamente alla coppia genitoriale.