Il termine “puerperio” deriva dal latino puer (bambino) e parus (che si sta portando alla luce). Tradizionalmente si definisce come quel periodo di tempo, successivo al parto, durante il quale si verifica il ritorno allo stato pre-gravidico di tutte le modifiche anatomiche e fisiologiche indotte dalla gravidanza. La durata del puerperio si colloca tra le quattro e le sei settimane. Vediamo insieme i cambiamenti sensibili che si verificano in questo periodo e le possibili complicanze che si possono verificare e a cui prestare attenzione.
Cos’è il puerperio? Come detto, è il periodo di tempo che inizia subito dopo il parto e termina con il ritorno di tutte le modifiche anatomiche e fisiologiche indotte dalla gravidanza alle condizioni pre-gravidiche. Convenzionalmente la durata del puerperio è di circa 40 giorni. In questo periodo di tempo la donna vede rivoluzionata la sua vita, nulla è più come prima: il sonno, gli affetti, il ruolo sociale e familiare.
In altre parole, nei giorni del puerperio tutto viene rimesso in gioco, in un momento della vita in cui la donna deve dedicarsi a un altro individuo, pieno di bisogni da individuare e soddisfare.
Subito dopo l’espulsione della placenta (in gergo tecnico, “secondamento”), le prime due ore sono definite post partum e avvengono drastici cambiamenti che segnano il passaggio dell’organismo dallo stato gravidico a quello puerperale. Nel puerperio la donna riceve dal personale che la assiste una costante valutazione clinica, per monitorare sanguinamenti vaginali, contrazioni uterine, pressione arteriosa, temperatura, frequenza cardiaca, eccetera, e viene supportata per l’allattamento, se lo desidera. Occorre tempo per adattarsi al nuovo ruolo di madre e al tempo stesso è opportuno che venga informata dei processi cui va incontro il corpo durante il puerperio.
Ma esattamente, cosa succede durante il puerperio? L’utero si contrae per ridurre le proprie dimensioni e per tornare a quelle pre-gravidiche, anche se, abitualmente dopo ogni parto, rimane leggermente più grande rispetto alla gestazione appena trascorsa.
All’inizio del puerperio, l’eliminazione dall’utero dei tessuti deciduali determina una perdita vaginale di quantità variabile. Tali perdite prendono il nome di “lochi” o “lochiazioni”, e contengono eritrociti (cellule del sangue), cellule epiteliali e batteri. Nei primi giorni vi è sufficiente sangue da determinare un colore rosso (lochiazione rubra). Dopo tre-quattro giorni i lochi assumono progressivamente un colore chiaro (lochiazione sierosa), infine, verso la decima giornata, i lochi assumono un colore bianco o bianco-giallastro (lochiazione alba).
La durata media delle lochiazioni oscilla tra 24 e 36 giorni. Il ritorno dell’utero alle dimensioni pregravidiche viene favorito dall’allattamento e pure le lochiazioni possono aumentare in corrispondenza della poppata, in risposta alla produzione di ossitocina, ormone responsabile della contrazione dell’utero e delle ghiandole mammarie, stimolato dalla suzione al seno del neonato. Tali contrazioni possono essere avvertite dalla mamma e prendono il nome di “morsi uterini”.
I primi giorni dopo il parto la donna potrebbe avvertire disagio a livello perineale, a causa della presenza di punti di sutura in caso di lacerazioni o di episiotomia. Impacchi freddi applicati sul perineo contribuiscono a ridurre l’edema e il dolore.
È importante l’igiene intima: si consiglia di detergere quotidianamente i genitali, dalla vulva verso l’ano. Nel giro di un paio di settimane l’eventuale sutura diventerà quasi del tutto asintomatica e verrà controllata dall’ostetrica o dal ginecologo di riferimento in occasione del controllo da effettuarsi a quattro-sei settimane dal parto, come raccomandato da tutte le società scientifiche.
Cosa fare e cosa non fare dopo il parto? Ecco qualche consiglio:
Durante il puerperio possono verificarsi alcune complicanze, molte delle quali si manifestano con febbre, ovvero una temperatura superiore a 38°C, misurata a livello inguinale o timpanico, e non ascellare, in quanto la temperatura potrebbe risultare alterata a causa delle modificazioni termiche che avvengono a livello delle mammelle.
Quando preoccuparsi durante il puerperio? La febbre è un campanello d’allarme che necessita sempre attenzione, in quanto può rappresentare un segnale di infezione puerperale. La febbre molto alta può essere riconducibile a infezioni della ferita addominale in caso di parto cesareo.
Un segnale d’allarme è certamente la presenza di arrossamento e fuoriuscita di secrezioni dalla ferita, specialmente se in presenza di febbre persistente. Generalmente si verifica a quattro-cinque giorni dall’intervento e necessita di una valutazione del medico, che prescriverà una terapia antimicrobica.
Nel caso di parto vaginale, una complicanza è rappresentata dalle infezioni del tratto genitale. Le infezioni dell’episiotomia non sono comuni, dal momento che la procedura viene eseguita oggi molto meno frequentemente rispetto al passato. Febbre, dolore locale, secrezioni purulente e edema sono sintomi tipici dell’infezione della sutura di lacerazioni perineali. Talvolta l’infezione può causare la riapertura spontanea di una ferita precedentemente suturata. In presenza di febbre e perdite maleodoranti, si raccomanda un controllo medico per valutare la presenza di eventuali complicanze perineali.
Un altro segnale di allarme nel puerperio è la presenza di dolore acuto a una o, raramente, a entrambe le mammelle. Febbre, brividi, malessere generale, tachicardia, rossore e dolore alla mammella sono sintomi tipici della mastite, che si verifica nelle donne che allattano, da non confondere con l’ingorgo mammario. La mastite si distingue dall’ingorgo per la sintomatologia specifica descritta, dovuta al processo infettivo del germe responsabile (lo stafilococco aureo è il microrganismo più frequentemente isolato, nel 40% dei casi di mastite puerperale).
È importante trattare tempestivamente la mastite, rivolgendosi all’ostetrica e al ginecologo di riferimento, così da iniziare una terapia antibiotica appropriata ed evitare che si sviluppi un ascesso, come avviene nel 10% dei casi. L’ingorgo è più spesso bilaterale, comporta la sensazione di mammelle pesanti e dolenti, ma non si vedono arrossamenti e non è presente la febbre.
Lavora come ostetrica negli ospedali bolognesi dal 2018 e conduce corsi di accompagnamento alla nascita. Dal 2020 è professoressa a contratto presso l’Università di Bologna, per il corso di Laurea in Ostetricia. Ha elaborato e coordinato un progetto, in collaborazione con l’Università di Bologna, di protezione e promozione dell’allattamento al seno, sostenendo a domicilio le mamme con difficoltà nell’avvio dell’allattamento.