«Anna è una bambina piena di energie, le piacciono i giochi fisici e a volte è quasi spericolata. Tutto il contrario del fratellino: Mattia è timoroso e bisogna spingerlo un po’ affinché si butti nelle cose, soprattutto quando si tratta di situazioni nuove». Angela descrive i suoi due bambini, rispettivamente di 4 e 2 anni e mezzo, individuando alcuni tratti distintivi. Nel linguaggio colloquiale sono aspetti del “carattere”, termine con cui identifichiamo delle caratteristiche, appunto, presenti fin dalla nascita e per certi versi ritenute immutabili. Ad esempio, i genitori riconoscono delle regolarità nei modi con cui il loro bambino affronta i pasti, il cambio del pannolino, il bagnetto, l’addormentamento, o nelle maniere in cui risponde agli adulti e si adatta ai cambiamenti. Come in un grande puzzle, l’insieme di tali elementi permette ai genitori di percepire l’unicità del figlio. Nel linguaggio scientifico queste differenze individuali vengono definite “temperamento”.
Il temperamento infantile indica l’insieme delle modalità emozionali, attentive (legate cioè alla percezione e analisi delle informazioni) e motorie con cui ogni bambino risponde all’ambiente. Queste modalità sono state sintetizzate in tre dimensioni principali:
Queste caratteristiche sono presenti in varia misura in tutti i bambini, ma alcune prevalgono sulle altre. I tratti inclusi nelle tre dimensioni rappresentano quindi delle predisposizioni innate, ossia biologicamente determinate, le quali, almeno in parte, rimangono costanti nel corso della crescita e danno un’“impronta” allo sviluppo successivo. Ad esempio, i bambini di qualche mese che manifestano maggiori capacità di controllo (che aspettano prima di protendersi verso un nuovo gioco) in genere presentano un comportamento più stabile nei primi cinque anni di vita. Oppure, i bambini inclini all’inibizione (ossia molto cauti e timorosi di fronte a situazioni inedite) tendono a sviluppare nel tempo comportamenti ansiosi. È stato anche osservato che un’alta estroversione, combinata con bassi livelli di controllo, si associa a successive difficoltà nella modulazione del comportamento. Un’elevata emozionalità negativa può invece portare, nel corso degli anni, a manifestazioni di disagio, di natura sia depressiva che aggressiva.
È fondamentale sottolineare che il temperamento non definisce in maniera immutabile le caratteristiche psicologiche di un bambino. Se è vero che questi tratti derivano da predisposizioni genetiche, è altrettanto vero che sono modellati nell’interazione con l’ambiente, sia nelle prime fasi di sviluppo sia negli anni dell’infanzia. Ad esempio, i bambini di 4 mesi che mostrano elevati livelli di attività motoria possono modificare questa tendenza qualora l’ambiente circostante non la rafforzi, e promuova invece comportamenti pacati. In altre parole, le esperienze hanno un ruolo decisivo nell’evoluzione delle caratteristiche temperamentali.
Uno dei fattori più importanti è ovviamente l’interazione con i genitori: il temperamento e le modalità genitoriali si influenzano a vicenda. Un bambino con una propensione all’emozionalità positiva e con buona capacità di controllo può favorire nel genitore atteggiamenti più compiacenti. Un temperamento caratterizzato da emozionalità negativa e bassa capacità di controllo, invece, potrebbe suscitare atteggiamenti di iperprotezione e di apprensione nei confronti del bambino. In questi casi il rischio è che si creino veri e propri circoli viziosi: il genitore sperimenta una maggiore fatica emozionale che potrebbe tradursi nella percezione della propria inadeguatezza o nella sensazione che il bambino abbia “qualcosa che non va”. A sua volta il bambino, per quanto piccolo, potrebbe avvertire la tensione e sentirsi a disagio nella relazione con l’adulto. Questi circoli viziosi possono stabilizzarsi, generando sofferenza e schemi relazionali disfunzionali.
Il temperamento si manifesta ben prima che si sviluppino altre competenze, per cui il genitore può osservare fin da subito le modalità con cui il bambino regola le proprie risposte alle diverse situazioni. Come affronta le novità? Appare impulsivo? Timoroso? In che modo reagisce alla frustrazione? Come regola i momenti di disagio? Cerca subito l’adulto o riesce a calmarsi da solo? Prestare attenzione al temperamento permette di comprendere le peculiarità del proprio bambino e di “calibrare” le modalità di relazione. Per tornare all’esempio iniziale, Angela potrebbe limitare, con Mattia, gli atteggiamenti iperprotettivi e incoraggiarlo a esplorare situazioni nuove, evitando però di “spingerlo” troppo, così che acquisisca progressivamente una maggior fiducia nelle proprie capacità. Quando l’altra figlia, Anna, adotta comportamenti a rischio, la mamma potrebbe invece assumere un atteggiamento comprensivo, ma al contempo saldo e coerente, in modo da promuovere la capacità di autoregolazione della piccola.
Prestare attenzione alle differenze individuali non significa etichettare i bambini come “facili” o “difficili”, “bravi” o “incapaci”. Significa evitare atteggiamenti penalizzanti, con inutili categorizzazioni («Sei il solito piagnucolone!»), o improbabili attribuzioni di intenzionalità («Non stai mai fermo un attimo!»). Anche nei casi in cui ci siano caratteristiche temperamentali che rendono meno “fluido” lo scambio tra il bambino e il mondo circostante, può essere di aiuto ricordare che le peculiarità di ogni bambino fanno parte del bagaglio con cui è entrato nella vita: non c’è merito e non c’è colpa. Non esistono bambini “difficili”, ma bambini che fanno più fatica a interagire con l’ambiente e che potrebbero quindi avere più bisogno di altri dell’accettazione e della guida sensibile dell’adulto.
Piuttosto che contrastare certe caratteristiche perché non corrispondono a ciò che ci aspettavamo, possiamo provare a capire che senso assumono nella vita del piccolo. Riconoscere le peculiarità temperamentali come potenzialità da sviluppare e non solo come difficoltà da superare è il primo passo per accogliere un bambino per quello che è e non per quello che vorremmo che fosse.