La scoperta della penicillina da parte di Fleming nel 1928 ha rappresentato per la medicina moderna un grande passo avanti nella lotta alle infezioni. Dopo la penicillina, sono stati scoperti molti altri antibiotici e ai giorni nostri utilizziamo numerose classi di queste sostanze che si distinguono per il diverso meccanismo con cui uccidono i batteri.
Subito dopo la loro scoperta, gli antibiotici sono stati usati per trattare le infezioni umane facendo diventare poco più che un fastidio molte malattie che prima rappresentavano un pericolo per la vita. Ciò ha sicuramente generato la sensazione di aver vinto definitivamente la guerra contro i batteri e ha portato a un uso spesso inappropriato di queste sostanze, in ambito medico e veterinario, nonostante i sempre più numerosi segnali di allarme sulla loro crescente inefficacia.
Negli ultimi 15-20 anni, infatti, si parla sempre più spesso della capacità dei batteri di resistere a molti antibiotici e dello sviluppo di famiglie di microbi resistenti a quasi tutti, se non a tutti, gli antibiotici noti, cosa che rischia di rendere intrattabili alcune comuni infezioni ospedaliere. Insomma, la fiducia nella potenza di questi farmaci vacilla fortemente ed è evidente la necessità di adottare comportamenti più prudenti per evitare, o quantomeno rallentare, l’insorgere di nuove resistenze.
Prima di riflettere su quali siano gli atteggiamenti corretti da tenere per fronteggiare questa emergenza, c’è da chiedersi come mai siamo arrivati a questo punto e come l’enorme potenziale di attività di queste sostanze si sia impoverito così tanto in meno di un secolo di utilizzo.
Non si può certo negare che ci sia stata una certa dose di ingenuità e di imprudenza nell’interpretare l’importanza di alcune scoperte. Già dal 1940 si sapeva che l’Escherichia coli, un batterio responsabile tra l’altro di molte delle infezioni urinarie nei bambini, possedeva la beta-lattamasi, una sostanza in grado di inattivare gli antibiotici beta-lattamici, chiamati così per la presenza di una particolare struttura nella loro molecola.
Questo meccanismo di resistenza era stato identificato, quindi, ancora prima che la penicillina venisse utilizzata diffusamente nella pratica clinica. Ciononostante si è continuato erroneamente a ritenere che i batteri avessero bisogno di molto tempo per modificare i propri geni e sviluppare nuove resistenze, senza riflettere sulla grande capacità di adattamento e di evoluzione dimostrata nei millenni da questi microrganismi.
Essi abitano la terra da circa tre milioni e mezzo di anni, hanno dovuto resistere a molte sostanze tossiche e hanno dimostrato una grande capacità di adattamento all’ambiente, riuscendo a sopravvivere, a proliferare e a colonizzare alcune delle zone più inospitali del nostro pianeta.
I batteri, in realtà, possiedono la capacità di modificare il proprio DNA in maniera molto veloce, e di trasferire geni dall’uno all’altro con grande facilità, diffondendo il fenomeno della resistenza tra gruppi di microbi in breve tempo. Insomma, i microrganismi sono capaci di sviluppare resistenza alle sostanze tossiche, questo sono per loro gli antibiotici, con una grande varietà di meccanismi e, oltretutto, sembra che ne siano capaci da molti milioni di anni.
A conferma di questo, nel 2011 un gruppo di studiosi ha identificato con certezza, in un DNA batterico vecchio di 30.000 anni, la presenza di geni capaci di indurre resistenza agli antibiotici, dimostrando in maniera conclusiva che questo fenomeno precede l’avvento della medicina moderna. Anche batteri vivi ma completamente isolati dal mondo, ritrovati nel 2012 in una grotta, si sono dimostrati capaci di resistere ad antibiotici attualmente in uso.
Insomma, la resistenza agli antibiotici, che per l’uomo è un problema attuale, per i batteri sembra essere una soluzione già in atto dai tempi antichi. Questo avremmo potuto ipotizzarlo già molti anni fa, se avessimo riflettuto sul fatto che gli antibiotici non sono un’invenzione umana. L’uomo li ha solo isolati o modificati da microorganismi, ma in origine sono strumenti che i batteri stessi usano per combattersi fra loro e colonizzare un territorio.
Il problema è che l’uso degli antibiotici contribuisce ad attivare geni che sino a quel momento dormivano sonni tranquilli, e che la comparsa dei geni della resistenza nei batteri viene selezionata anche dall’uso e dal cattivo uso degli antibiotici da parte dell’uomo.
E allora cosa ci rimane da fare di fronte a questa evidente capacità di adattamento dei microrganismi, che sta spuntando molte delle nostre armi di difesa? Occorre innanzitutto rendersi conto che il problema riguarda tutta l’umanità e che ciascuna nazione, comunità, singolo individuo, devono sentirsi coinvolti. Leggi più rigorose devono portare a un consumo sempre più ridotto di antibiotici sugli animali che limitino la contaminazione dei terreni e delle acque.
I medici devono essere consapevoli che non servono antibiotici sempre più aggressivi e potenti ma che è più utile un uso controllato e prudente di quelli già esistenti. E il singolo cittadino, e il singolo genitore, devono avere un atteggiamento più fiducioso nelle proprie capacità di difesa naturale, evitando di sentirsi privati di qualcosa quando il medico, ragionevolmente, non prescrive l’antibiotico in corso di infezioni virali. Molte delle infezioni che interessano i bambini sono dovute a virus e questi non sono sensibili agli antibiotici.
Di fronte a un raffreddore comune, alla tosse senza infezioni polmonari, a un’otite acuta non complicata e in molte circostanze simili, occorre saper attendere con pazienza il processo di guarigione naturale senza forzare la mano al pediatra, perché senza l’antibiotico ci si sente perduti. Occorre ridare a queste sostanze la loro giusta importanza, perché ne hanno tanta nelle infezioni gravi, ma vanno usate con criterio e solo quando serve realmente, affinché possano continuare ad aiutarci nella difficile guerra contro i microrganismi, più veloci e più furbi di noi.
Si trova negli Stati Uniti ed è lunga 216.6 km, alcune sue parti sono state isolate dalla superficie terrestre per un periodo di 4-7 milioni di anni e le forme di vita che sono presenti, per lo più batteri, hanno seguito un loro personale percorso di evoluzione. I batteri analizzati vivevano in una parte della grotta priva di impronte umane e non erano mai stati esposti alla presenza umana e agli antibiotici.
La roccia impermeabile della grotta rendeva molto improbabile, inoltre, che gli antibiotici fossero potuti penetrare con l’acqua contaminata della superficie terrestre. Nonostante tutto ciò, questi batteri si sono dimostrati capaci di resistere praticamente a quasi tutti gli antibiotici che vengono usati correntemente. Alcuni dei batteri presenti nelle cave usano metodi di resistenza addirittura sconosciuti agli scienziati. Una specie è stata capace di resistere alla daptomicina, un nuovo antibiotico, spaccando il farmaco in un punto critico.