Avete mai conosciuto un bambino che sembra imparare più lentamente dei suoi amichetti? Che fatica a imparare ad allacciarsi le scarpe da solo o si comporta come un bambino più piccolo della sua età? Sono spesso descritti come bambini con “ritardo cognitivo” o con “ritardo mentale”, parole che fanno pensare che semplicemente imparino più lentamente rispetto ai loro coetanei, come se andassero “più piano”.
In realtà, il loro sviluppo è più complesso di così e segue percorsi differenti dai bambini che non presentano queste difficoltà. Non si tratta solo di un ritardo, ma di un modo unico di imparare e crescere. Per questo motivo, oggi gli esperti non parlano più di “ritardo cognitivo” nei bambini, ma di bambini con “disabilità intellettiva”. Questa nuova espressione riflette un maggiore rispetto e riconoscimento delle caratteristiche uniche di ogni persona.
In questo articolo cercheremo di rispondere alle domande più frequenti sul tema. Scopriremo cosa significa disabilità intellettiva, come riconoscerla e chi sono gli specialisti che si occupano di identificare e sostenere queste difficoltà.
«Cosa vuol dire ritardo cognitivo?». Specifichiamo subito che non si tratta di una malattia, bensì di una condizione che caratterizza alcuni individui sin da piccoli rendendoli particolari dal punto di vista intellettivo. Per arrivare a una diagnosi, gli esperti si concentrano su due fattori, ovvero il funzionamento cognitivo e il funzionamento adattivo, poiché le persone con disabilità intellettiva presentano difficoltà su entrambi questi fronti.
Partiamo dal funzionamento cognitivo, ovvero dall’intelligenza, che non significa solo essere bravi a scuola, ma che raggruppa un insieme di tante abilità diverse, come la capacità di risolvere problemi, di capire le emozioni degli altri, di riuscire a esprimersi in maniera chiara ed efficace, di pianificare le proprie azioni, di pensare in maniera astratta. Ognuno di noi possiede queste abilità in misura diversa: ad esempio, una persona potrebbe essere molto brava a risolvere problemi matematici ma avere più difficoltà a capire le emozioni degli altri, un’altra potrebbe essere molto brava a comunicare ma avere più difficoltà a memorizzare le date, eccetera. In generale l’intelligenza si manifesta con tante sfumature: da molto alta, a media e, in alcuni casi, bassa.
Per funzionamento adattivo dell’individuo si intende invece la capacità gestionale di una persona nelle attività della vita quotidiana, come ad esempio saper comunicare i propri bisogni e le proprie emozioni, creare relazioni sociali con i coetanei o gli adulti, avere cura di sé stessi e delle proprie cose.
Gli esperti, inoltre, affiancano sempre alla diagnosi di disabilità intellettiva il livello di gravità. Infatti, le persone che ricevono questa diagnosi sono molto diverse tra loro, non solo per la loro unicità ma anche alla luce delle loro capacità intellettive e del loro funzionamento adattivo.
Il livello di gravità è un elemento fondamentale per descrivere come funziona la persona e per fornire il supporto più adeguato. Quando un bambino ha bisogno di aiuto nelle attività quotidiane complesse inerenti alla cura di sé (ad esempio lavarsi, fare lo zaino) e nell’apprendimento scolastico, allora si parla di disabilità intellettiva lieve. Quando il bambino necessita di sostegno nelle pratiche di cura di sé più semplici, come vestirsi, mangiare, acquisire il controllo sfinterico, oppure impara ma solo dopo un lungo periodo di insegnamento, allora si parla di disabilità intellettiva media. I bambini con disabilità intellettiva grave hanno invece bisogno di supporto per tutte le attività quotidiane e faticano a imparare a parlare o a comprendere chi si rivolge a loro. Infine, i bambini con disabilità intellettiva profonda hanno bisogno di supporto costante e faticano a prendere parte attivamente alle attività della vita quotidiana; in quest’ultimo caso, spesso accade che ci siano anche difficoltà fisiche e/o sensoriali.
La disabilità intellettiva può essere causata da tanti motivi. Tra i più diffusi ci sono le sindromi genetiche (ad esempio la sindrome di Down), la nascita molto pretermine, le malattie metaboliche e i danni cerebrali. Capita anche che la disabilità intellettiva si manifesti senza cause specifiche.
La disabilità intellettiva caratterizza il modo di pensare e di comportarsi di un bambino in ogni fase della sua crescita. Tuttavia, il momento in cui diventa evidente e le sue caratteristiche possono variare a seconda delle cause sottostanti e del livello di gravità. Secondo le linee guida, la disabilità intellettiva può essere diagnosticata a partire dai 4-5 anni di vita. Tuttavia, quando la disabilità è lieve, l’impatto sulla vita quotidiana potrebbe essere molto sfumato e la diagnosi potrebbe arrivare solo in età scolare, quando le richieste dell’ambiente aumentano e superano le effettive capacità del piccolo: quando inizia a frequentare la scuola, il bambino potrebbe trovare le attività più difficili del previsto e, di conseguenza, le sue fragilità potrebbero venire alla luce ed essere visibili a insegnanti e genitori.
A questo punto, i genitori possono chiedersi: «A partire da quando si vede il ritardo cognitivo?». I primi segnali spesso si possono cogliere già nei primi anni di vita, quando il piccolo raggiunge i primi importanti traguardi della crescita: inizia a giocare, a muovere i primi passi e a dire le prime parole, e tutto questo gli consente di imparare cose nuove e interagire con le persone intorno a lui. Quando queste tappe vengono raggiunte in ritardo, si parla di “ritardo psicomotorio”, il che rappresenta un fattore di rischio in relazione a una eventuale e successiva manifestazione di disabilità intellettiva. Ecco quindi che se un bambino in età prescolare o scolare riceve una diagnosi di disabilità intellettiva è spesso possibile risalire a un precedente quadro di ritardo psicomotorio.
Tuttavia, quando il ritardo psicomotorio è lieve o moderato, può essere difficile riconoscere i segnali di allerta, e le difficoltà potrebbero non emergere fino a quando il bambino si trova ad affrontare compiti più complessi. Di nuovo, i genitori potrebbero chiedersi: «Il ritardo cognitivo, quali caratteristiche presenta? A quali sintomi dobbiamo fare più attenzione?». Come già detto, la disabilità intellettiva non è una malattia, ma una condizione. Non si può quindi parlare di sintomi ma, appunto, di caratteristiche, le quali dipendono anche dal livello di gravità della condizione, su cui influisce il modo in cui l’individuo si comporta nei vari contesti di vita. Un bambino con disabilità intellettiva lieve, a causa delle fragilità cognitive riguardanti ad esempio il pensiero astratto, la capacità di risolvere problemi o la comprensione del linguaggio, potrebbe manifestare in età scolare difficoltà nell’apprendimento della letto-scrittura e delle abilità matematiche e avere bisogno di aiuto.
All’aumentare delle difficoltà cognitive aumenta anche il livello di gravità della diagnosi e nei casi più gravi l’apprendimento di nuove conoscenze e l’interazione con il mondo circostante potrebbero risultare seriamente compromessi. Ma allora tutti i bambini con difficoltà nell’apprendimento scolastico hanno una disabilità intellettiva? La risposta è no. Ci sono bambini che hanno un’intelligenza nella norma, ma fanno fatica a imparare a leggere, a scrivere e a far di conto. In questo caso non si parla di disabilità intellettiva ma piuttosto di “disturbo specifico dell’apprendimento” (ne parliamo in modo approfondito in questo articolo).
Come per la componente cognitiva, anche le capacità pratiche di un individuo dipendono dalla gravità della disabilità. I bambini con disabilità lieve possono gestire la cura di sé e i propri bisogni di base (mangiare, lavarsi), ma possono avere necessità di ricevere aiuto per le attività più complesse. Più la gravità aumenta, più i bambini con disabilità intellettiva hanno bisogno di supporto e faticano a diventare autonomi.
La disabilità intellettiva ha un impatto anche sulla capacità di creare relazioni con gli altri e partecipare a contesti sociali. Bambini con difficoltà lievi possono apparire più immaturi nelle relazioni e possono avere difficoltà nel controllare le emozioni e il comportamento. Nei contesti scolastici potrebbero quindi essere isolati e meno coinvolti nei gruppi di coetanei. Anche in questo caso, più il disturbo è grave maggiori saranno le difficoltà nella comunicazione e nelle relazioni, fino al punto in cui il bambino non riesce a utilizzare il linguaggio per esprimere bisogni e desideri.
Alla luce di quanto detto, quando si parla di disabilità intellettiva non ci si riferisce al solo ambito cognitivo. La crescita dell’individuo è un processo complesso e multisfaccettato, all’interno del quale le diverse aree di sviluppo si influenzano l’una con l’altra. Quindi è ragionevole pensare che le difficoltà cognitive non rimangano circoscritte ma influiscano anche su altre abilità, come quelle pratiche, comunicative e relazionali.
«Come si fa la diagnosi di ritardo cognitivo? Qual è la terapia per questa condizione?». Quando si sospetta una disabilità intellettiva è sempre bene attivarsi e prenotare una visita con uno specialista. Una visita fatta precocemente permette infatti, in caso di bisogno, di intervenire e migliorare la quotidianità del bambino il prima possibile.
Solitamente, la prima visita specialistica avviene con il neuropsichiatra infantile, che subito si accerterà dello stato di salute del bambino, chiederà ai genitori come si comportava il loro bambino durante i primi anni di vita (ad esempio, quando ha cominciato a camminare e a parlare, quali erano i suoi giochi preferiti…) e come si comporta adesso (come si trova a scuola, cosa riferiscono gli insegnanti…). Inoltre, osserverà il bambino dal punto di vista neurologico, proponendogli alcune attività per nulla invasive. Successivamente, il medico si confronterà con altre figure professionali, come lo psicologo dell’età evolutiva, il neuropsicomotricista e il logopedista.
La valutazione complessiva riguarderà sia il funzionamento cognitivo sia quello adattivo. Il primo verrà valutato con specifici test, che restituiscono la misura del quoziente intellettivo (QI). In media il QI ha valore di 100 e generalmente la diagnosi di disabilità intellettiva viene fatta quando il QI è inferiore a 70. Questi test sono composti da attività a misura di bambino, come ad esempio:
Un buon professionista sarà in grado di mettere a suo agio il bambino e di coinvolgerlo mostrandogli queste attività in quanto giochi da svolgere e non test da superare. Inoltre, l’osservazione attenta delle fasi di svolgimento delle attività e dell’interazione con lo specialista sarà utile per capire come il bambino utilizza gli oggetti, che tipo di gioco sviluppa, se e come si relaziona e comunica con l’altro. In alcuni casi, soprattutto con i bambini più piccoli, potrebbe essere necessario osservare direttamente il bambino durante il gioco libero coinvolgendo anche i genitori.
Il funzionamento adattivo verrà analizzato tramite domande rivolte ai genitori tramite colloquio o compilazione di alcuni questionari. In entrambi i casi le domande riguardano le competenze quotidiane del bambino relative a:
Anche in questo caso un buon professionista saprà mettere a proprio agio i genitori, lasciando loro lo spazio necessario per raccontare.
La diagnosi non è fine a sé stessa, ma permette di poter avviare un percorso di trattamento cucito su misura per il bambino. Il trattamento non permette di “guarire”, in quanto, come già detto, la disabilità intellettiva non è una malattia ma una condizione. L’obiettivo è invece stimolare l’individuo verso lo sviluppo di nuove competenze e il consolidamento e potenziamento delle competenze già presenti. Anche in questo processo sono coinvolte numerose figure professionali, tra cui psicologi, psicomotricisti, logopedisti, pedagogisti, educatori, assistenti occupazionali e insegnanti di sostegno che, lavorando in in maniera multidisciplinare, possono stimolare diverse abilità nel bambino, ovvero:
Nella fase di presa in carico non bisogna dimenticare i genitori, i quali potrebbero essere spaventati dalla diagnosi e preoccupati per il futuro del piccolo. Stesso discorso vale anche per gli altri componenti della famiglia (nonni, fratelli e sorelle…), che potrebbero manifestare un disagio più o meno esplicito dovuto alla notizia. È quindi necessario garantire spazio e supporto a tutti i membri del nucleo e offrire percorsi mirati tenuti da psicologi o psicoterapeuti in grado di supportare le difficoltà legate all’accettazione della diagnosi e all’elaborazione dei vissuti psicologici ed emotivi associati, al fine di consentire a tutti i singoli membri della famiglia di affrontare la quotidianità nel migliore dei modi.
In conclusione, comprendere la disabilità intellettiva significa riconoscere la diversità e valorizzare le capacità e le risorse di ogni individuo. Questa condizione può essere supportata con interventi precoci e personalizzati, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo delle abilità individuali e migliorare la qualità di vita della persona che ha ricevuto la diagnosi e della sua famiglia.