Ogni bambino è un caso a sé, è sempre bene ricordarlo, il che vuol dire che ha caratteristiche che lo rendono unico, anche per quanto riguarda il suo sviluppo. Alcuni episodi che si verificano in determinati momenti dello sviluppo, però, possono rappresentare in generale dei campanelli d’allarme per i genitori. Se ad esempio nostro figlio appare in chiaro ritardo rispetto ai propri coetanei, mostra scarsa iniziativa, bassa propensione al movimento e alla socialità, potremmo essere di fronte a un ritardo psicomotorio. Vediamo come riconoscere situazioni di questo tipo e quando e come è il caso di intervenire.
Il termine “sviluppo psicomotorio” indica il periodo durante il quale il bambino acquisisce una serie di abilità che gradualmente gli permettono di inserirsi nell’ambiente circostante. Dato che queste acquisizioni si verificano in modi e tempi abbastanza definiti, i genitori possono allarmarsi nel vedere che il bambino ancora non raggiunge una determinata “fase” (stare seduto, compiere i primi passi, dire le prime parole…). Talvolta ad accorgersene è il personale della scuola oppure il pediatra: in alcuni di questi casi, su indicazione del pediatra, può essere utile richiedere una consulenza allo specialista di neuropsichiatria infantile, che insieme all’équipe riabilitativa (terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, logopedista, psicologo) valuterà l’effettivo livello di sviluppo del piccolo.
Trattandosi di un periodo così ricco di cambiamenti, spesso il quadro si chiarisce con il passare del tempo. Nei primi anni di vita possono ricevere una diagnosi generica di ritardo psicomotorio bambini in cui poi si definiranno quadri più complessi come la disabilità intellettiva, i disturbi dello spettro autistico, la sordità, o alterazioni cromosomiche (come ad esempio la Sindrome dell’X fragile).
Solo recentemente è stato evidenziato che per una diagnosi di ritardo psicomotorio occorre siano coinvolte, in maniera più o meno armonica, più aree di sviluppo (motoria, cognitiva e del linguaggio). La diagnosi, inoltre, è spesso transitoria, poiché col tempo possono emergere altri elementi che possono portare a una nuova diagnosi, o può esserci un recupero di tutte le competenze.
Il recupero di alcune funzioni è comunque sempre possibile e tuttavia con la crescita del bambino o della bambina potrebbero essere evidenziate altre criticità.
Quando viene formulata la diagnosi, anche se, come detto, spesso questa è solo transitoria, molti genitori cadono nello sconforto. Si domandano se sia possibile recuperare il ritardo psicomotorio e possono avvertire un grande senso di colpa perché pensano di non essere stati in grado di stimolare adeguatamente il proprio bambino. Capita spesso, inoltre, che riferiscano allo specialista di essere stati a loro volta “lenti” nelle acquisizioni psicomotorie, suggerendo così l’ipotesi di una familiarità del ritardo, che potrebbe dipendere da una scarsa maturazione dei centri e delle vie nervose legata anche a fattori diversi, di natura ambientale, organica o genetica.
Tra i fattori ambientali che possono influenzare lo sviluppo psicomotorio, ossia quei fattori non genetici, legati all’ambiente di vita e alle esperienze del bambino, si possono considerare:
La maturazione neurologica del bambino viene influenzata dall’apprendimento e dalle esperienze, e può essere accelerata o inibita dal contesto e dagli aspetti psicologici e affettivo-relazionali. È inoltre possibile che danni encefalici precoci di modesta entità siano in grado di interferire nelle prime fasi della maturazione, per poi andare incontro a una riparazione che permette un buon recupero.
Anche la prematurità, soprattutto se collegata a un basso peso alla nascita, può portare ad alterazioni del tono muscolare e della postura e a un ritardo nell’acquisizione delle principali fasi motorie. I neonati prematuri spesso acquisiscono le abilità neuromotorie in ritardo rispetto ai nati a termine; tale ritardo è però condizionato dal grado di prematurità e, dunque, è da considerarsi “normale”. Come per tutti gli altri bambini sarà il pediatra a valutare, durante i vari bilanci di salute, se necessario un approfondimento diagnostico.
Le cause genetiche del ritardo psicomotorio sono suggerite dalla presenza di altri casi in famiglia. Altre volte invece si riscontrano alterazioni cromosomiche di cui non sempre si conosce il significato.
Alcuni studi hanno dato maggiore importanza all’ipotesi che nei bambini con ritardo psicomotorio risulti cruciale e prevalente un disturbo percettivo, che non permetterebbe loro di organizzare e regolare i programmi motori. Un disturbo percettivo porta il bambino a non integrare in modo corretto le informazioni che riceve dai sensi e a non usarli per organizzare il movimento da compiere. Per avere un esempio pratico di ciò che succede in questi casi si può pensare a quando decidiamo di sollevare un tavolo che riteniamo leggero a prima vista, ma che al momento del sollevamento mostra di essere più pesante del previsto.
In genere il ritardo delle competenze motorie globali ha un’evoluzione favorevole, pur con un ritardo nei tempi di acquisizione delle posture e del cammino, mentre può persistere un disordine nelle abilità motorie fini (infilare, impilare, aprire o chiudere) e complesse (come ad esempio palleggiamenti, salti incrociati), che interferisce in tutte le fasi di elaborazione e controllo del comportamento motorio.
Diversi studi hanno sottolineato che le difficoltà motorie rappresentano la prima espressione di una difficoltà di sviluppo più globale.
Come già detto, la questione varia da bambino a bambino, e inoltre le stesse fasi dello sviluppo prevedono range temporali più o meno ampi (ad esempio, la deambulazione autonoma avviene generalmente tra gli 11 e i 15 mesi di età), ma in generale i segnali di allarme da tenere presente sono i seguenti:
La scarsa iniziativa è un’altra caratteristica dei bambini con ritardo nello sviluppo psicomotorio, che sono notoriamente tranquilli, abbastanza fermi, poco interessati a esplorare l’ambiente circostante e si accontentano di ciò che hanno a portata di mano.
Spesso i bambini con ritardo psicomotorio vengono descritti dai genitori come “troppo buoni“, dal momento che sono molto tranquilli, non si muovono molto e tendono a restare fermi nel punto in cui vengono posizionati dai genitori. Ad esempio, Yuri 10 mesi passava alcune ore della sua giornata nella sdraietta fissando il soffitto, tranquillo. Messo a sedere a terra non cerca di tirarsi in piedi, né di raggiungere i giochi che ha intorno, ma aspetta pazientemente che qualcuno glieli porga.
Il ritardo psicomotorio coinvolge anche il livello comunicativo-linguistico, tanto che spesso, oltre alla lallazione, non si manifestano neppure quelli che vengono considerati i prerequisiti del linguaggio: indicare, mostrare, triangolare lo sguardo.
A volte è evidente anche una lieve alterazione del tono muscolare (ipotonia/ ipertonia); grazie all’intervento riabilitativo neuro e psicomotorio, queste alterazioni del tono muscolare, non strettamente legate a danni neurologici o a sindromi genetiche, si risolvono solitamente in maniera abbastanza rapida.
Dunque cosa fare in caso di ritardo psicomotorio? È possibile recuperare? Qual è la terapia più adatta? Sono queste le domande che i genitori subito si pongono, una volta ricevuta la diagnosi.
Il professionista che prende in carico il bambino con ritardo psicomotorio è il terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (TNPEE), che saprà individuare le aree di forza e di debolezza per stimolare al meglio il piccolo e garantirgli il maggior recupero possibile.
A una prima fase di osservazione della bambina o del bambino, e della sua interazione con l’ambiente, seguirà un piano terapeutico che, attraverso il gioco e stimolazioni adatte al livello di sviluppo di quel momento, darà la possibilità di intraprendere nuove strade per raggiungere una successiva fase motoria.
L’approccio dello specialista è solitamente globale, tanto più quando riguarda le prime fasi evolutive, e comprende l’esame di diverse funzioni, ovvero:
Per “scattare una fotografia” dello sviluppo del bambino in un determinato momento, al fine di valutare i progressi nel tempo e avere un linguaggio comune fra i vari professionisti, lo strumento spesso usato sono le scale Griffiths, test che forniscono una valutazione del profilo di sviluppo e del livello evolutivo e dal quale è possibile comprendere se è indicato eseguire ulteriori approfondimenti e/o iniziare un trattamento riabilitativo.
Le scale di Griffiths sono test che si applicano proponendo al bambino o alla bambina differenti giochi che possono risultare gradevoli (cubetti, quiet book, campanelle, etc.) e si osserva il comportamento del piccolo o della piccola (si volta se chiamato? Indica un oggetto? Batte le mani?). In base al tipo di reazioni che questi giochi suscitano nel bambino si può comprendere l’età di sviluppo del piccolo o della piccola in osservazione.
Le scale Griffiths III, nello specifico, sono in grado di valutare lo sviluppo globale del bambino per quanto riguarda l’apprendimento, il linguaggio, la motricità e gli aspetti sociali ed emotivi, dalla nascita fino ai 72 mesi (0-6 anni).
Per far sì che sia efficace e per ottenere il massimo recupero possibile, il trattamento neuro e psicomotorio, ossia la presa in carico del bambino da parte del TNPEE che attraverso tecniche, giochi e stimolazioni saprà facilitare l’acquisizione di quella competenza mancante o deficitaria, deve essere stabile nel tempo (con incontri solitamente bisettimanali e con una durata di 45 minuti ciascuno), precoce quanto più possibile e globale (quindi che coinvolga tutte le figure di riferimento del bambino come genitori, nonni, insegnanti). La presenza del genitore è infatti fondamentale per garantire una continuità nelle modalità di stimolazione anche a casa.
Una volta intrapreso il percorso abilitativo/riabilitativo con il Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva, un elemento che può indicare una prognosi favorevole è rappresentato dai piccoli e continui nuovi apprendimenti che il bambino compie e che, passo dopo passo, possono riportarlo sulla miglior traiettoria evolutiva possibile, fino al recupero delle competenze che non erano ancora state acquisite.