«Ma tu dove hai partorito? Ti sei trovata bene? E il bambino te lo fanno tenere in stanza o lo portano subito al nido?». Quando si comincia ad avvicinare il momento del parto è normale per la futura mamma cercare di raccogliere tutte le informazioni necessarie per la scelta della struttura sanitaria in cui far nascere il proprio bambino o la propria bambina.
Un elemento importante nella scelta della struttura è la presenza o meno del rooming in, ossia la possibilità di tenere nella propria stanza il bambino dopo il parto, giorno e notte, senza limiti di orario. Il nome inglese potrebbe far pensare a una pratica moderna, ma in realtà è antica quanto la storia dell’umanità ed è stata riscoperta negli ultimi decenni.
I benefici del rooming in sono numerosi e dimostrati da svariati studi; in particolare, il fatto che lo speciale legame, profondo e unico, tra mamma e neonato sia favorito proprio dal contatto prolungato subito dopo la nascita.
I vantaggi del rooming in si legano anche al corretto avvio dell’allattamento, oltre che alla cura e alla gestione del neonato. Tuttavia il rooming in deve però essere una scelta libera della mamma, che non deve quindi essere imposto dalla struttura.
Di seguito vedremo con precisione quali sono i benefici di questa pratica e capiremo quali sono le caratteristiche di questa proposta.
Secondo le Linee Guida dell’UNICEF, un neonato sano e a termine dovrebbe essere tenuto a contatto pelle a pelle con la propria madre sia in caso di parto naturale sia di cesareo subito dopo la nascita o comunque non appena possibile.
Per sostenere tale approccio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNICEF hanno promosso il modello del rooming in, definito come «la permanenza del neonato e della madre nella stessa stanza in un tempo più lungo possibile durante le 24 ore, salvo quello dedicato alle cure assistenziali».
Questa pratica consente alla neomamma di occuparsi fin da subito del neonato, di creare un legame madre-bambino forte ed efficace e di favorire l’allattamento. Inoltre, permette di rilevare tempestivamente eventuali segni patologici o di sofferenza del piccolo, non solo grazie all’occhio attento della mamma, ma anche del padre e degli altri membri della famiglia che si prenderanno cura del neonato.
Alcuni ospedali, infatti, consentono il rooming in anche al papà che può così stare in camera con mamma e neonato senza vincoli di orario. Purtroppo però questa non è la norma e molte strutture non permettono la permanenza del padre in stanza e la pandemia non ha aiutato a migliorare la situazione: le strutture sanitarie si sono infatti trovate costrette a ridurre gli orari di visita non solo del padre, ma anche dei familiari. L’impatto sulle donne è stato quindi notevole, dato che spesso le neomamme si sono trovate completamente sole e senza un sostegno adeguato da parte del proprio compagno o di una persona cara. Il rooming in, in completa solitudine, senza il proprio partner a fianco può rivelarsi molto più complesso, soprattutto per le donne che hanno subito un parto cesareo.
Ma come nasce il rooming in? È una tecnica nuova? In realtà questa pratica è la più naturale e antica, difatti quando si partoriva in casa era consuetudine che mamma e piccolo restassero sempre insieme. Tuttavia, con il tempo sono cambiate le abitudini del parto, che avviene per lo più in ospedale, dove, dopo la visita medica che verifica lo stato di salute del neonato, quest’ultimo viene trasferito al nido per un periodo di osservazione di alcune ore. Senza la pratica del rooming in, la madre potrà quindi vedere il bambino o la bambina soltanto nei cosiddetti orari di allattamento, con intervalli di circa di tre ore, rispettando le regole ospedaliere.
Dopo il parto, il neonato passa da un ambiente caldo, circoscritto, silenzioso come quello uterino, a un luogo completamente diverso, freddo, rumoroso, pieno di luce come la sala parto. Stare tra le braccia della madre, riconoscerne la voce, l’odore e il battito cardiaco per lui o lei è rassicurante. Per il piccolo è un istinto naturale cercare il calore del corpo materno, grazie al quale si abitua gradualmente e dolcemente alla nuova dimensione extrauterina. Spostandolo subito al nido il piccolo avrà un impatto stressante, piangerà di più e se avrà fame, dovrà aspettare gli orari previsti e non potrà essere nutrito quando ne sentirà il bisogno.
Molti studi scientifici indicano che la vicinanza tra neonato e mamma:
Il modello del rooming in è stato promosso fin dagli anni Novanta, attraverso l’iniziativa “Baby Friendly Hospital’’ (Ospedale amico del bambino), sostenuta dall’UNICEF, per garantire un’assistenza più efficiente ai neonati e promuovere l’allattamento.
Solitamente questa pratica inizia già nei primi istanti di vita del bimbo (se è sano e a termine): il neonato resta in sala parto con la mamma, è asciugato, coperto con un telo e messo sulla pancia della madre (fino al momento della prima poppata), favorendo il contatto pelle a pelle e l’allattamento. In questi momenti, generalmente il neonato cerca il capezzolo, stabilendo il primo contatto.
Dopo il primo bagnetto, che può comunque essere posticipato (le linee guida dell’OMS raccomandano di eseguirlo dopo almeno 6 ore dalla nascita) e la visita neonatologica, il piccolo viene poi trasferito in stanza con la mamma. Il contatto pelle a pelle con la mamma, come evidenziato in molti studi scientifici, presenta diversi vantaggi:
Anche la donna, secondo le ricerche, ottiene dei benefici dal contatto pelle a pelle con il neonato, ovvero una diminuzione delle perdite post-partum e un minor tasso di depressione post-partum.
Come abbiamo accennato, avere sin da subito il neonato nella propria camera ha lo scopo di stabilire fin dalla nascita il contatto genitore-bambino dal punto di vista fisico, relazionale e di cura. Oltre a questo esistono molti altri vantaggi e i principali benefici del rooming in sono:
Il rooming in è raccomandato anche perché garantisce un’efficace nutrizione, un aspetto che non deve essere mai trascurato. La mamma, infatti, può riconoscere precocemente i segnali di fame del bambino, avendolo sott’occhio tutto il giorno.
Esistono degli svantaggi nella pratica del rooming in? In alcune circostanze la continua vicinanza può essere faticosa per la neomamma, che in questo modo però ha la possibilità di comprendere fin da subito come accudire il piccolo o la piccola. In ogni caso genitori possono chiedere facilmente consigli e chiarimenti agli operatori sanitari presenti nella struttura ospedaliera. Inoltre si deve tener conto che nelle prime 24 ore di vita il neonato dorme molto, lasciando alla neomamma la possibilità di recuperare le forze tra una poppata e l’altra.
Non è da sottovalutare poi il sostegno del papà, almeno nelle strutture che consentono il rooming in anche al padre, che diventa una risorsa sempre molto preziosa in famiglia nell’accudimento del bambino, anche durante l’allattamento. La sua vicinanza alla donna che allatta è molto importante dal punto di vista psicologico e di condivisione di un’esperienza. Così come dare il biberon se non è possibile l’allattamento. In questi casi un partner attento, premuroso e informato fa la differenza. Incoraggia la donna, la rassicura, le è a fianco per farle sentire che non è sola, che sono in due ad affrontare ogni difficoltà.
Non sempre però è possibile per il papà o per un familiare essere accanto alla donna al di fuori degli orari di visita, oppure la neomamma si trova, per vari motivi, a vivere il parto e la cura del bimbo in solitudine. In questi casi il rooming in può essere piuttosto gravoso e richiedere un maggior supporto da parte della struttura ospedaliera.
La risposta è sì. Il rischio di infezioni neonatali, una delle principali preoccupazioni delle neomamme, infatti, sembra essere inferiore se il neonato rimane nella camera materna anziché essere spostato nel nido. Inoltre, il contatto madre-figlio favorisce la colonizzazione della pelle e del tratto gastroenterico del neonato da parte dei microrganismi materni (solitamente non patogeni). Il neonato è quindi contemporaneamente esposto e protetto dagli organismi contro cui svilupperà le difese immunitarie con la crescita.
Favorendo l’allattamento materno si rafforza anche il sistema immunitario del neonato. Con il latte materno, infatti, oltre ai batteri “buoni”, la mamma trasmette al bambino anche anticorpi che lo proteggono da numerose infezioni, nonché proteine con azione antimicrobica: lattoferrina, lisozima, citochine, ecc.
I neonati tenuti nel nido, invece, tendono a essere contagiati dai batteri portati involontariamente dal personale ospedaliero, generalmente più patogeni. Questo spiega la facilità con cui le infezioni cutanee, gastrointestinali e delle vie respiratorie sono più diffuse in questi ambienti.
La pratica del rooming in, invece, riduce anche la necessità per il personale di portare i neonati dentro e fuori le camere di degenza, percorrendo talvolta lunghi tratti all’interno dell’ospedale o della clinica.
La pratica del rooming in dovrebbe rappresentare la normalità per tutti i neonati sani, e le mamme dovrebbero essere incoraggiate ad allattare i propri bambini tutte le volte che questi sollecitano il nutrimento.
Per raggiungere questo obiettivo, OMS e UNICEF hanno lanciato la Baby-friendly Hospital Initiative (BFHI), che ha lo scopo di aiutare a motivare i reparti di maternità di tutto il mondo ad attuare i “Dieci passi per un allattamento al seno di successo”.
Un insieme di procedure che le strutture sanitarie dovrebbero attivare per sostenere l’allattamento al seno e che sono:
Una revisione sistematica di 58 studi sulla maternità e l’assistenza neonatale pubblicati nel 2016 ha dimostrato con chiarezza che l’adesione ai Dieci Passi ha un impatto positivo sull’inizio precoce dell’allattamento subito dopo la nascita e sull’allattamento esclusivo.
Al momento il rooming in non è una pratica obbligatoria in Italia e le modalità di accudimento dei neonati dipendono dalla struttura ospedaliera o dalla clinica. Sono tuttavia sempre di più le strutture sanitarie che impiegano questa pratica, grazie anche alle strategie di promozione dell’allattamento del Ministero della Salute.
Quindi, il nido in ospedale non serve più? No, anzi è importante che continui a esserci per i piccoli che presentano lievi disturbi o malattie che hanno bisogno di terapie appropriate, ma anche per aiutare le mamme che, per qualche motivo, non sono in grado temporaneamente di prendersi cura del neonato.
Il rooming in va vissuto dalla donna come un’opportunità, non come un’imposizione, e deve essere proposto senza regole rigide, lasciando alla mamma la libertà di scegliere se e per quanto tempo adottarlo.
In questo svolge un ruolo importante il personale sanitario, che si prende cura del bimbo o della bimba quando la mamma non se la sente, sostenendo e incoraggiando quest’ultima nei momenti di contatto con il neonato.
E i papà? Durante l’allattamento i neonati passano gran parte del tempo a nutrirsi e la mamma ad allattare, senza riuscire a dedicarsi ad altro e spesso tocca proprio al neo papà prendersi cura di mamma e figlio. Non solo ma, una volta tornati a casa, può essere protagonista indiscusso nel cullare, consolare, cambiare il pannolino e fare il bagnetto al piccolo, costruendo, attraverso la pelle e la voce, quel “dialogo emotivo” che costituisce un tassello fondamentale per la relazione.
Science writer, scrive di medicina, nutrizione e benessere per varie testate on line e collabora con vari editori scientifici curando l’editing di volumi e pubblicazioni.