In questo periodo in cui la cronaca mette in evidenza numerosi episodi di violenza giovanile, molti sono chiamati a esprimere la propria opinione. Mi è capitato spesso di sentire persone più o meno esperte che caldeggiano stili educativi più autoritari o addirittura punitivi, come prevenzione. Un giornalista, solitamente persona sensibile, ha scritto di aver interpellato, in seguito a questi fatti di cronaca, un suo compagno che da giovane era un po’ teppista, il quale gli avrebbe detto di essere cambiato dopo aver ricevuto uno schiaffo.
Allora penso che sia necessario introdurre un pensiero divergente, ed è il motivo per cui consiglio di andare al cinema a vedere Chiamami col tuo nome, un film di Luca Guadagnino tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman. Il film non è direttamente connesso al tema della violenza giovanile, ma offre un modello di genitorialità alternativo rispetto ai luoghi comuni, che attraverso la vicinanza emotiva, attraverso l’educazione sentimentale, permette ai figli di interiorizzare modelli operativi che impediscono l’esercizio della violenza verso l’altro, in qualunque circostanza.
È una storia di formazione che si svolge in un’estate dei primi anni Ottanta. Il protagonista è Elio, un ragazzo di 17 anni in vacanza con i genitori nella casa di campagna. Una campagna anonima e una casa abitata solo d’estate, ma rese entrambe affascinanti dalle persone che le animano.
A 17 anni la sessualità è un tema rilevante, perché è prorompente e perché c’è tanto da sperimentare; inoltre è connessa alla conoscenza di sé e alla capacità di entrare in relazione con l’altro. Il nostro protagonista, nel caldo, piatto, noioso contesto in cui si svolge la storia, ha modo, per contrasto, di provare emozioni intense legate a questo sperimentare. Elio è sensibile, intelligente, coraggioso. Non ha paura di vivere con slancio i propri desideri, i propri sentimenti. Non ha sensi di colpa o lacerazioni interne. Se usassimo la teoria dell’attaccamento per descriverlo, potremmo definirlo un ragazzo con legami di attaccamento sicuri, che gli permettono di rivolgere lo sguardo verso il mondo che lo circonda e di coglierne gli stimoli.
Conosce una ragazzina, Marzia, anche lei con tanto tempo libero durante le vacanze estive e tanta voglia di provare emozioni. Con lei instaura un rapporto di grande complicità nella scoperta dei loro corpi di adolescenti.
Incontra Oliver, invitato dal padre di Elio, professore di archeologia, a stare nella loro casa delle vacanze per completare la tesi di dottorato. Con Oliver è amore, ma l’innamoramento nei confronti di questo giovane più grande di lui è vissuto come normale, fatto di trepidazione, di attesa, di osservazione dell’altro, di desiderio, di fusione emotiva. Nessun abisso, nessuna perdita di contatto col sé. Anche il momento della separazione, prevista, alla fine della vacanza, è vissuto con grande tristezza, ma con dolcezza, senza disperazione.
Certo, questo ragazzo così intimamente solido nella fluidità delle sue esperienze viene molto aiutato dalle persone che lo circondano: sono tutti come dovrebbero essere, rispettosi, comprensivi… senza ricatti o colpevolizzazioni. Marzia è solare, Oliver protettivo. Anche i genitori sono quelli che avremmo voluto per noi o che vorremmo essere per i nostri figli: illuminati, attenti ma discreti. Sembrano essere distratti, ma vedono tutto, sanno esserci al momento giusto per consolare o per aiutare a elaborare le esperienze. Con il loro aiuto il ragazzo riesce a collocare nella propria biografia un’esperienza potenzialmente destabilizzante, trasformandola in occasione di crescita e di arricchimento.
Un bell’esempio di genitorialità responsiva, cioè in grado di rispondere ai bisogni dell’altro. Non mi meraviglio, perché, come si vede in una bella scena del film, questi genitori amano la lettura ad alta voce!
Si potrebbe dire che il film descrive un mondo in cui il privilegio culturale è evidente e che la realtà dei nostri adolescenti è talvolta crudele, soprattutto nell’ambito dell’espressione dei sentimenti e dei desideri, dell’orientamento della propria sessualità. Abbiamo, però, bisogno di speranza, di prendere le distanze da un cinismo ormai pervasivo. I nostri adolescenti hanno bisogno di qualcuno che li accompagni attraverso le esperienze della vita dicendo loro di non preoccuparsi, di vivere, sperimentare! Si può soffrire, piangere, come fa Elio, ma si avrà, come lui, la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza unica. Hanno bisogno di qualcuno con cui instaurare un dialogo sui sentimenti.
La cultura è un patrimonio libero, è di tutti e la trasmissione della conoscenza avviene attraverso strade diverse: una di queste può essere un pomeriggio al cinema.
Una bella favola, dunque, che può essere di ispirazione per genitori alle prese con l’educazione sentimentale di un adolescente, un esempio di rispetto per i più giovani, di capacità di riconoscerne gli stati emotivi e di modularli. Competenze genitoriali che, se vengono attuate fin da piccoli, sono l’antidoto migliore alla violenza.