Un problema che molti genitori possono trovarsi ad affrontare è quello di riuscire a gestire la rabbia provata dal proprio figlio. Un’energia quasi improvvisa e a volte incontrollabile, che in alcuni casi può anche manifestarsi con forme di vera e propria aggressività rivolte verso sé stessi, verso gli altri o anche verso oggetti inanimati.
La rabbia è una delle nostre emozioni fondamentali. La letteratura di riferimento la definisce “filogeneticamente determinata”, ossia un’emozione con base innata che permette alla persona di adattarsi e di sopravvivere all’ambiente; a tal proposito Donald Winnicott afferma che la crescita è di per sé un atto aggressivo.
Raymond Di Giuseppe e Raymond C. Tafrate definiscono la rabbia «uno stato emotivo sperimentato a livello soggettivo con un’elevata attivazione del sistema simpatico autonomo. È inizialmente suscitata dalla percezione di una minaccia, anche se può persistere dopo che la minaccia è passata. La rabbia è associata a cognizioni e pensieri di attribuzione e di valutazione che sottolineano le malefatte degli altri e motivano una risposta di antagonismo per contrastare, scacciare, ritorcere contro, o attaccare la fonte della minaccia percepita».
Sebbene spesso venga connotata negativamente, la rabbia assolve quindi un ruolo essenziale per la vita di ogni persona. È un “campanello di allarme” che segnala la possibile presenza di un pericolo o di un ostacolo che si interpone al raggiungimento di determinati obiettivi. Prepara il corpo all’azione, attivando modificazioni fisiologiche che dispongono l’individuo alla risposta, ed è perciò una sorta di radar che ci permette di restare in allerta. Questa emozione, però, può diventare anche patologica o disfunzionale, specialmente quando provoca sofferenza individuale o interpersonale, quando compromette le relazioni sociali o quando spinge la persona a mettere in atto comportamenti dannosi per sé o per gli altri.
Proviamo allora a immaginare cosa voglia dire per un bambino sentire un’emozione simile, così forte e potente. Ricordiamoci che i bambini non sono ancora in grado di autoregolare completamente le proprie emozioni (self-regulation), e questo li porta ad avere delle vere e proprie crisi di rabbia. Gli adulti di riferimento svolgono un ruolo fondamentale nell’aiutarli ad acquisire la capacità di autoregolazione emotiva: è attraverso di essi, infatti, che i bambini sperimentano le proprie emozioni (compresa la rabbia), il che contribuisce alla promozione del loro benessere.
I bambini non solo osservano attentamente i nostri comportamenti e le nostre reazioni, ma sentono e percepiscono il nostro stato emotivo. Non dimentichiamoci che siamo un esempio importante per loro, quindi cerchiamo di partire da noi stessi.
Se manteniamo un atteggiamento calmo e coerente, evitando di assumere comportamenti intimidatori o di urlare, consentiamo ai bambini di sviluppare la loro capacità di autoregolazione e di apprendere dal nostro esempio.
Anche i bambini – proprio come noi – provano rabbia. Tutti dobbiamo sentirci liberi di riconoscerla e di esprimerla. È importante che i bambini comprendano che le emozioni vanno bene, che provare rabbia e qualsiasi altra emozione non è un errore; essere arrabbiati non è sbagliato.
Se riconosciamo ciò che essi stanno provando e lo accettiamo, assumendo un atteggiamento empatico, comunichiamo loro che le emozioni sono importanti e che non vanno “spente”, ma gestite.
Essere disponibili emotivamente non significa concedere tutto. Un fattore importante è distinguere tra ciò che si prova e ciò che si fa, separando le azioni che compiamo dalle emozioni che proviamo. Le emozioni vanno accettate e accolte, ma bisogna essere chiari con i nostri piccoli e far capire loro che ci sono dei limiti alle azioni. Ad esempio, va bene arrabbiarsi, ma non è giusto colpire la mamma o lanciare gli oggetti. Ricordiamoci di spiegare sempre il perché di certi limiti: comprenderne i motivi, infatti, permetterà al bambino di accettarli più facilmente.
Nei casi di particolare aggressività, l’Istituto Watson ricorda come sia importante usare il contatto fisico e affettivo. Ricorrere a una forma di contenimento non significa mettere in punizione il bambino, ma allontanarlo fisicamente dal luogo o dalla situazione per evitare che possa fare del male a sé stesso o a qualcun altro. Fondamentale, però, è che tale azione venga accompagnata da frasi di avvicinamento affettivo, come ad esempio: «Questo comportamento non ti è permesso. Capisco che sei arrabbiato, ma questo non si fa. Ti do il tempo e lo spazio per calmarti, e poi penseremo insieme a un modo per comportarsi diversamente quando provi questa forte emozione».
Comunichiamo con i nostri bambini; incoraggiamoli a parlare delle loro esperienze e di ciò che provano. Condividiamo con loro ciò che stiamo provando noi: non dobbiamo avere paura delle nostre emozioni e di quelle altrui. Sediamoci accanto a loro e mettiamoci sullo stesso piano di comunicazione e di ascolto.
Non possiamo decidere quali emozioni provare; non possiamo scegliere di spegnere la rabbia. E non spetta a noi farlo. Al contrario, per uno sviluppo sano e per la tutela del benessere psicofisico, è importante riconoscerla, darle un nome, accettarla e trovare delle strategie utili per imparare a gestirla.