Questa parola deriva dal greco dia, che vuol dire “attraverso”, e reo, che vuol dire “scorro”: diarrea è perciò una popò che scorre attraverso il culetto come un piccolo (maleodorante) ruscello, in altri termini è l’emissione molto frequente di feci liquide. Non è sufficiente che la popò sia sciolta o che il bambino vada spesso al gabinetto per parlare di diarrea: le due cose devono andare insieme.
Questa precisazione è importante perché spesso il pediatra viene interpellato da genitori di bambini che hanno avuto una sola scarica di feci liquide, oppure che hanno l’abitudine di produrre più di una scarica al giorno di feci normali: questi bambini non hanno la diarrea. Ma la diarrea nei bambini è molto comune ed è dovuta a un’infezione, quasi sempre virale, che colpisce le cellule che rivestono l’intestino e le danneggia: il risultato è che molta acqua e molti sali passano nelle feci e le rendono liquide, a volte miste a muco e qualche volta anche striate da un po’ di sangue.
Quasi tutti i tipi di diarrea dei nostri bambini guariscono spontaneamente in pochi giorni; la cosa importante è restituire al bambino tutta l’acqua e i sali che perde: basterà l’acqua o una minestrina in brodo, se la diarrea è scarsa, occorreranno le soluzioni reidratanti prescritte dal pediatra se la diarrea è tanta (meglio offrirle da subito, prima che il bambino abbia sete).
In alcuni casi, invece, la diarrea può essere sintomo di ossiuriasi (ne parliamo in questo articolo)
E le medicine? La diarrea guarisce da sola e non è mai pericolosa, se il bambino riceve i liquidi e i sali di cui ha bisogno. Di nessuna medicina è dimostrato un effetto risolutivo. I probiotici ne riducono un po’ la durata, sono molto usati e possono proteggere dalle ricadute. Il digiuno è sconsigliato e prolunga la diarrea, lo dimostrano tutte le ricerche; certo il bambino malato chiede meno da mangiare; assecondatelo pure, ma ricordate: mangiare fa bene!
In questo caso la popò è poca, a volte pochissima e dura come un sasso: più le feci stazionano nell’ultima parte del retto, più perdono acqua e si induriscono. Stitichezza, nel bambino come nell’adulto, produce stitichezza. Se un bambino di poche settimane non fa popò, soprattutto se prende il latte della mamma, non diventa stitico, perché le sue feci restano morbide e abbondanti; ma quando viene svezzato o è più grandicello può presentare questo disturbo.
Se la diarrea significa troppa acqua nella popò, la stipsi significa troppo poca acqua nella popò, feci secche e dure che possono fare male al culetto: l’esperienza del dolore può indurre il bambino a cercare di evitare l’evacuazione, si formano così palline ancora più dure che sarà ancora più difficile espellere. Molti genitori hanno fatto l’esperienza del clisterino o della supposta; tanti anni fa i bambini venivano regolarmente purgati, oggi non si usa più.
Che fare in caso di stipsi del bambino? Prima di tutto attenzione alla dieta che deve essere sempre ricca di fibre vegetali che, non venendo assorbite nell’intestino, si mischiano alle feci e trattengono l’acqua, rendendole più morbide: frutta, quindi, meglio se fresca e con la buccia, verdura e legumi, anche questi con la buccia, dovrebbero essere sempre presenti nella dieta di tutti i bambini.
Anche l’abitudine a sedersi sul vasino a una certa ora del giorno (senza fretta, dopo un pasto, per sfruttare il riflesso gastro-colico), aiuta molto; viceversa è sbagliato rimandare la “seduta”, magari per mancanza di tempo: i bambini che vanno a scuola, quasi mai fanno lì la popò, anche se gli scappa, preferendo rimandarla e lasciarla così nella parte finale dell’intestino dove piano piano si secca e diventa dura. Meglio allora svegliarsi un quarto d’ora prima, fare una bella colazione e andare al gabinetto. E se non funziona? Il pediatra saprà consigliarvi.
Difficile, se non impossibile, trattenerla se scappa per davvero! Il vero errore (inconsapevole, quello che disturba l’acquisizione di un meccanismo di controllo, efficace anche di notte) è proprio l’abitudine a rimandare troppo (perché c’è il gioco, o qualunque altra causa di distrazione). A volte scappa però quando non dovrebbe, in particolare di notte durante il sonno: stiamo parlando dell’enuresi, la pipì a letto, un fenomeno troppo conosciuto per darne qui una definizione.
È conosciuto perché molto frequente: ciascuno di noi sa di bambini che bagnano o hanno bagnato il letto e molti genitori ricordano perfettamente di quando loro stessi lo bagnavano. L’enuresi interessa infatti dal 10 al 15% dei bambini (in gran parte maschi) fino ai sei anni e persino lo 0,5% degli adulti. Nel passato si pensava che fare la pipì a letto dipendesse da un disturbo psichico: oggi si sa che il bambino enuretico è sì disturbato, ma questa è una conseguenza dell’enuresi (che lo infastidisce, lo rende insicuro, gli impedisce di dormire fuori casa) e non la sua causa, che invece è da un’altra parte.
Si bagna il letto per tre motivi più o meno combinati fra loro:
I rimedi sono più di uno, ma nessuno garantisce il successo al 100%. Innanzitutto c’è la pazienza: pannolone, telo “incerato”, cambio delle lenzuola e attesa, tanto l’enuresi passa, la mamma e il papà lo sanno (spesso anche loro sono stati “piscialetto” da bambini).
Poi c’è la combinazione di comportamenti virtuosi (poca acqua il pomeriggio e la sera) e premi e incoraggiamenti se la mattina dopo il letto è asciutto. Quindi si passa agli allarmi: campanelli che squillano la notte e svegliano il bambino (e, ahimè, anche i genitori) appena le prime gocce di pipì bagnano il lenzuolo. Infine ci sono i farmaci. Sarà il pediatra a scegliere insieme alla famiglia. Mi raccomando però: non rimproverate il bambino che bagna il letto, non è colpa sua, lui preferirebbe mille volte risvegliarsi asciutto!
I probiotici: si tratta di fermenti lattici, che oggi sono anche preparati in maniera più “scientifica”. Sono medicine composte da molti miliardi di batteri o di spore batteriche che entrano nell’intestino del bambino regolando la composizione della flora intestinale. Sono oggetto di moltissimi studi, e forse sono una moda. Il loro effetto sulla diarrea acuta è dimostrato anche se parliamo di una riduzione della durata dei sintomi di poche ore. Contemporaneamente stimolano la produzione locale di anticorpi di superficie, chiamati IgA.
Riflesso gastro-colico: quando lo stomaco si riempie durante un pasto il colon tende a svuotarsi e a mandare in fondo all’intestino, nell’ampolla del retto, quello che resta dei pasti precedenti: è una maniera automatica di fare spazio nella nostra pancia. Il riempimento dell’ampolla rettale determina lo stimolo a fare la cacca. Non sempre questo stimolo può essere assecondato, per motivi di opportunità e di convenienza, ma nel caso dei bambini è bene sfruttarlo per acquisire un ritmo regolare di emissione delle feci.
PEG: si chiama così il polietilenglicole, una sostanza che l’intestino non riassorbe, e che ha la capacità di trattenere una certa quantità di acqua. In piccole dosi è un efficacissimo lassativo.
Encopresi: è un disturbo che consiste nella perdita di feci in modo involontario, o più raramente volontario, nei bambini al di sopra dei tre anni. Spesso i bambini con questo disturbo sono stati stitici nei primi anni di vita, a volte i genitori li hanno stimolati di frequente con supposte di glicerina o microclismi. A differenza dell’enuresi, che avviene per lo più di notte, l’encopresi si verifica sempre di giorno.
pediatra e giornalista, ha esercitato per quarant’anni come pediatra di famiglia nel Servizio Sanitario Nazionale e ha fondato nel 2001 il bimestrale per i genitori «Un Pediatra Per Amico», che ha diretto per 16 anni. Attualmente è un pediatra libero professionista.