Il tampone vagino-rettale in gravidanza – lo suggerisce la parola stessa – è un esame diagnostico utile a rilevare la presenza di infezioni a livello vaginale e/o rettale nel corso della gestazione. Viene raccomandato in particolare per la ricerca dello Streptococco di gruppo B (GBS), uno dei molti batteri presenti all’interno dell’organismo dell’adulto, a livello gastrointestinale o genitale. Si stima infatti che circa una gestante su quattro contragga questo tipo di infezione.
Ma come e quando si effettua esattamente il tampone vaginale in gravidanza? E quale trattamento deve essere effettuato in caso di esito positivo? Andiamo a chiarire tutti i dubbi su questo tema.
Come viene fatto il tampone vaginale in gravidanza? Si tratta di un test indolore e rapido che viene eseguito dall’ostetrica o dal ginecologo.
Per prepararsi al tampone vaginale in gravidanza non occorre seguire nessuna raccomandazione particolare, e per effettuare l’esame viene semplicemente chiesto alla gestante di stendersi sul lettino e di divaricare leggermente le gambe.
Il tampone è costituito da un bastoncino con del cotone sterile a una delle due estremità (in sostanza come un lungo cotton fioc) che viene leggermente strofinato sulla zona da indagare. Una volta introdotto viene fatto roteare per qualche secondo all’interno della vagina, così da raccogliere le secrezioni presenti. La stessa procedura viene eseguita successivamente a livello rettale.
Ma dove si fa il tampone vaginale in gravidanza? Il tampone può essere svolto presso consultori pubblici, ambulatori privati e in centri prelievi privati dove vengono eseguiti esami di laboratorio. Il materiale prelevato viene analizzato dal laboratorio di microbiologia e il referto è generalmente disponibile in 5-7 giorni a partire dal prelievo.
Eleonora è nell’ultimo mese di gravidanza. Si reca presso la struttura ospedaliera da lei scelta per il parto per effettuare la presa in carico. Nel corso del colloquio vengono esaminati i risultati degli esami e delle indagini eseguite nel corso della gestazione, e lo specialista registra i dati rilevanti nella cartella clinica in previsione del ricovero. Non avendo Eleonora ancora effettuato il tampone vagino-rettale, l’ostetrica dell’ambulatorio le propone di eseguirlo al termine dell’incontro…
Perché si fa il tampone vaginale il gravidanza? A cosa serve? Abbiamo detto che l’obiettivo è quello di individuare le infezioni da streptococco, ma a quale scopo? E perché nel caso appena descritto è stato effettuato nell’ultimo periodo della gravidanza?
Dal momento che, durante la gestazione, non esistono strategie per prevenire l’infezione, il tampone vaginale serve per individuare le donne colonizzate da GSB a ridosso del parto, così da poter intraprendere la terapia antibiotica corretta e ridurre il rischio di trasmissione del batterio al neonato.
Più precisamente, quando fare il tampone vaginale in gravidanza? Le linee guida italiane raccomandano l’esame a tutte le donne che si trovano tra la 36° e la 37° settimana di gestazione.
E se il tampone vaginale in gravidanza dà esito positivo? Cosa si deve fare? Qualora l’esame rilevasse la presenza del batterio – dando, per l’appunto, esito positivo – durante la gestazione non è previsto alcun tipo di intervento. Il trattamento viene infatti eseguito durante il parto, attraverso la somministrazione di una terapia antibiotica, così da interrompere la trasmissione del batterio dalla mamma al neonato e ridurre il rischio di infezioni neonatali.
Esaminiamo un caso per capire meglio cosa accade. Martina è alla 34^ settimana della sua quarta gravidanza. Come di routine, le viene programmato il tampone vagino-rettale per la ricerca colturale dello Streptococco a 36 settimane e le vengono spiegate le ragioni per cui tale esame è importante. Martina però ha già iniziato ad avvertire qualche contrazione e ha paura che il parto possa avvenire prima di aver ricevuto il referto del tampone.
Quando manifesta questa preoccupazione, viene prontamente rassicurata sul fatto che, in mancanza dell’informazione sullo stato di colonizzazione da GBS (nei casi, ad esempio, in cui il tampone non è stato eseguito o il referto non è ancora disponibile), al momento del parto la cura antibiotica viene effettuata in determinate situazioni considerate a “maggior rischio” di trasmissione. Il parto pretermine, prima delle 37 settimane, è una di queste condizioni, così come la febbre materna, la presenza di streptococco nelle urine o un precedente figlio con infezione neonatale da GBS.
Lavora come ostetrica negli ospedali bolognesi dal 2018 e conduce corsi di accompagnamento alla nascita. Dal 2020 è professoressa a contratto presso l’Università di Bologna, per il corso di Laurea in Ostetricia. Ha elaborato e coordinato un progetto, in collaborazione con l’Università di Bologna, di protezione e promozione dell’allattamento al seno, sostenendo a domicilio le mamme con difficoltà nell’avvio dell’allattamento.