Ogni anno in Italia circa il 4% dei maschietti nasce con un testicolo, o più raramente entrambi, non visibile.
In condizioni normali il testicolo, per quasi tutta la durata della gravidanza, si trova all’interno dell’addome e solo poco prima della nascita si sposta e si posiziona nella borsa scrotale.
In alcuni casi, per motivi che ancora non si conoscono nel dettaglio, il testicolo, durante questo breve viaggio, si ferma per strada. E così alla nascita metà dello scroto risulta vuota, mentre il testicolo corrispondente si trova più in alto, all’inguine o all’interno dell’addome. Alcuni di questi testicoli “nascosti” discendono poi nello scroto spontaneamente, di solito entro il terzo mese di vita, mentre in altri casi è necessario un intervento chirurgico per posizionare il testicolo nella sua sede naturale.
Da decenni i pediatri e i chirurghi discutono per decidere quale sia il miglior trattamento per questa patologia. La difficoltà nel raggiungere un accordo dipende dalla necessità di seguire per un tempo molto lungo la storia naturale di queste persone, dalla nascita fino al raggiungimento della piena funzione dei testicoli in età adulta. Ci vuole molto tempo, infatti, per valutare appieno gli effetti delle possibili cure, mediche o chirurgiche, sul rischio di riduzione della fertilità, insufficiente produzione di ormoni o addirittura degenerazione tumorale.
La borsa scrotale infatti ha la capacità di mantenere al suo interno una temperatura più bassa dell’addome, ottimale per il normale sviluppo del testicolo. Una temperatura più alta, quale appunto quella che si registra all’interno dell’addome, può provocare delle alterazioni, che diventano via via più importanti con il passare del tempo.
Negli ultimi anni, soprattutto a seguito di ricerche eseguite nei Paesi del Nord Europa, si sono rese disponibili informazioni sufficienti sulle modalità e i tempi di trattamento di questa patologia. Ma la sensazione che noi pediatri dell’ACP (Associazione Culturale Pediatri) abbiamo è che questa omogeneità non venga ancora applicata come potrebbe nella realtà italiana e così, quest’anno, abbiamo progettato e poi condotto una ricerca, con il sostegno dell’Ospedale Pediatrico Burlo Garofolo di Trieste e della Clinica Pediatrica dell’Università di Chieti.
Hanno partecipato allo studio 140 pediatri di famiglia, con una popolazione di assistiti di più di 125.000 mila bambini, sparsi in tutta Italia. Abbiamo scelto fra tutti questi bambini quelli nati nel 2004 e nel 2005; i bambini con testicolo “ritenuto” di cui questo numeroso gruppo di pediatri si è occupato sono 169. Nel 26% dei casi il problema era bilaterale, interessava cioè entrambi i testicoli.
In circa il 16% di questi bambini non è stato necessario effettuare alcun trattamento, perché il problema si è risolto spontaneamente con la discesa del testicolo nello scroto. In un altro 20% dei casi è stato tentato un trattamento a base di ormoni, che ha avuto un effetto positivo in circa un caso su quattro. Nel 60% circa invece è stato necessario l’intervento chirurgico che ha sempre risolto il problema. In alcuni bambini, al momento della rilevazione, il problema persisteva ancora.
Una brutta sorpresa l’abbiamo avuta quando abbiamo constatato che l’età media in cui veniva effettuato l’intervento chirurgico era di quasi due anni, ben più tardi di quanto consigliato dalle più recenti linee guida, secondo le quali l’età ideale per risolvere chirurgicamente questo problema è tra i sei e i dodici mesi di vita. Fortunatamente però nell’89% dei casi l’intervento è stato realizzato presso un centro di chirurgia pediatrica e non presso una divisione di chirurgia per adulti, pratica fortemente consigliata, data la tenera età dei bambini.
E così i dati emersi dalla ricerca hanno dimostrato che il trattamento di questa patologia, in Italia, non è ancora ottimale. Infatti, sono ancora molti i bambini che ricevono trattamenti ormonali che nella stragrande maggioranza dei casi non dovrebbero essere effettuati, sia per gli scarsi risultati, sia per i possibili esiti avversi nella produzione di spermatozoi in età adulta.
L’età media in cui viene effettuato il trattamento chirurgico risulta ancora troppo avanzata rispetto a quanto consigliato. Ma segnalare queste discrepanze è già un grosso passo in avanti; la pubblicazione di questa ricerca e l’iniziativa stessa dei tanti pediatri che si sono impegnati a raccogliere i dati ci consentirà di diffondere queste notizie a tutto il mondo della pediatria italiana, in modo che la situazione possa essere corretta.
Le più recenti indicazioni individuano nell’età compresa tra i 6 e i 12 mesi il momento migliore per effettuare il trattamento chirurgico necessario per riposizionare nella sua sede naturale un testicolo ritenuto (criptorchide). Prima di tale età infatti la situazione si può normalizzare in modo spontaneo, mentre un’attesa eccessiva può provocare maggiori rischi di riduzione del numero di spermatozoi prodotti dal testicolo e un aumentato rischio di insorgenza di un carcinoma del testicolo interessato.
Il 5% dei casi di cancro al testicolo è infatti attribuibile a un precedente criptorchidismo, e il rischio relativo di sviluppare un tumore nei testicoli criptorchidi è doppio rispetto alla popolazione generale, e diventa cinque volte maggiore quando l’intervento chirurgico viene effettuato dopo i 15 anni.