Tra gli screening prenatali indicati in gravidanza c’è il toxo test, cos’è esattamente?
Prima di parlare di questo esame occorre spiegare brevemente cos’è la Toxoplasmosi. Si tratta di una malattia piuttosto comune trasmessa attraverso il contagio del Toxoplasma gondii, un protozoo il cui ciclo di riproduzione avviene nei gatti e altri felini. Se contratta per la prima volta in gravidanza può rappresentare un problema serio, in quanto c’è il rischio che venga trasmessa dalla madre al bambino. Vediamo di seguito come funziona l’esame in gravidanza per questa malattia.
Il Toxo test è un test sierologico che viene usato come esame per la Toxoplasmosi in gravidanza, rileva cioè precocemente l’infezione da Toxoplasma gondii attraverso la ricerca nel sangue materno di IgG e IgM (immunoglobuline di tipo G), un tipo di anticorpi, cioè molecole coinvolte nella risposta immunitaria dell’organismo.
Quando fare il Toxo test? È indicato eseguire questo test nel primo trimestre di gravidanza. Qualora la presenza degli anticorpi di tipo IgG dimostri che si è già incontrato il parassita e si è immuni a esso, il Toxo test non andrà più ripetuto. In caso di Toxo test negativo, invece, occorrerà ripetere l’esame ogni quattro-sei settimane fino al termine della gravidanza.
L’incontro con il toxoplasma induce nel corpo la produzione di immunoglobuline specifiche. Entro una settimana vengono prodotte le immunoglobuline M (IgM), che scompaiono abitualmente entro qualche settimana (talvolta più tardivamente). Successivamente gli anticorpi prodotti sono di classe IgG, con una caratteristica impennata, stabilizzazione, progressiva riduzione e successiva persistenza nel tempo.
Il Toxo test permette quindi di verificare l’assenza o la presenza di anticorpi e, in questo secondo caso, di evidenziare se si è in una fase a rischio o se invece la donna è da considerarsi protetta. Una volta eseguito l’esame è possibile classificare le donne in tre classi: “protetta”, “suscettibile” e “a rischio”.
In caso di Toxo test negativo, ovvero di IgG e IgM entrambe negative, la donna è considerata “suscettibile”: non essendoci l’immunità, è a rischio di contrarre l’infezione nel periodo della gravidanza. Si consiglia una prevenzione primaria di tipo igienico-alimentare e il controllo sierologico ogni quattro-sei settimane durante la gestazione, per evidenziare precocemente l’eventuale infezione.
Nella maggior parte dei casi la diagnosi che permette di distinguere tra infezione precedente e infezione in atto è chiara, nei restanti casi si rendono necessari approfondimenti diagnostici. Vediamo di seguito quali sono i casi di Toxo test positivo.
In questo caso c’è un’immunità da pregressa infezione. La donna non dovrà quindi più effettuare controlli né durante la gravidanza attuale né in quelle successive (salvo in caso di immunodepressione), in quanto la possibilità di una nuova infezione è quasi del tutto inesistente.
Può trattarsi di un’infezione in fase iniziale (devono ancora essere prodotte le IgG) o di una falsa positività per IgM. Per questo motivo è necessario un controllo a 10/20 giorni per valutare un’eventuale positività delle IgG che, insieme alla conferma delle IgM, sono sufficienti per una diagnosi di infezione primaria in atto.
Poiché le IgM possono persistere per diversi mesi, si effettuano ulteriori test ematici per quantificare il rischio fetale e definire le modalità di gestione della gravidanza (diagnosi, terapia, controllo e follow-up del neonato), oppure per tranquillizzare la donna qualora l’infezione sia riconducibile al periodo prima della gravidanza. Per precisare l’evoluzione dell’infezione è necessario un ulteriore prelievo che serve a valutare l’avidità delle IgG (proprietà immunochimica che descrive la forza di legame tra antigene e anticorpo). Ciò permette di ricondurre l’avvenuta infezione a un intervallo temporale più preciso.
Un risultato con bassa avidità anticorpale delle IgG significa un’infezione recente (meno di quattro mesi), un’avidità alta indica invece che l’infezione è avvenuta in tempi meno recenti (più di quattro mesi).
I valori di riferimento sono i seguenti:
È importante tenere presente che gli intervalli di riferimento possono differire, seppur di poco, da un laboratorio all’altro. Si consiglia di fare riferimento a quelli presenti sul referto stesso.
La Toxoplasmosi è una malattia non grave e abbastanza comune: nella maggior parte dei casi non porta alcun disagio e chi ne è affetto non si accorge di averla contratta. A volte i sintomi dell’avvenuto contagio da Toxoplasmosi possono invece manifestarsi; tipicamente si tratta di sintomi simil influenzali, ovvero febbre, dolori muscolari, stanchezza, mal di testa e mal di gola. In ogni caso, come già accennato prima, la Toxoplasmosi può diventare un problema serio se viene contratta per la prima volta in gravidanza, in quanto c’è il rischio che il patogeno si trasmetta dalla madre al bambino. Ecco, dunque, perché si fa il Toxo test.
L’esame per la Toxoplasmosi in gravidanza è molto importante in quanto permette di identificare le donne che sono a rischio di contrarre la malattia nel corso della gestazione e di monitorarne periodicamente lo stato immunitario. In questo modo è possibile individuare precocemente l’eventuale infezione e bloccare la trasmissione al bambino attraverso un trattamento antibiotico adatto alla gravidanza.
L’esame per la Toxoplasmosi ha dei costi? La ricerca degli anticorpi anti-toxoplasma rientra tra le prestazioni specialistiche previste dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA 2017) per il controllo della gravidanza fisiologica, escluse dalla partecipazione al costo. L’esame per la Toxoplasmosi quindi non prevede costi a carico della gestante ed è totalmente sostenuto dal Servizio Sanitario Nazionale.
Lavora come ostetrica negli ospedali bolognesi dal 2018 e conduce corsi di accompagnamento alla nascita. Dal 2020 è professoressa a contratto presso l’Università di Bologna, per il corso di Laurea in Ostetricia. Ha elaborato e coordinato un progetto, in collaborazione con l’Università di Bologna, di protezione e promozione dell’allattamento al seno, sostenendo a domicilio le mamme con difficoltà nell’avvio dell’allattamento.