«Dottore, le ho portato mio figlio perché ci siamo accorti che c’è una zona della testa in cui gli mancano i capelli, ha proprio un buco… Potrebbe trattarsi di un fungo?». È questo l’inizio della visita di un bambino che presenta alopecia: un’area del capo priva di capelli. I genitori potrebbero non essersene accorti subito, perché la zona viene nascosta dal resto della capigliatura. Un giorno, per caso, magari pettinando o accarezzando il piccolo, si rendono conto che c’è, appunto, “un buco”. Le cause di alopecia sono molte, ma a volte questo evento può essere autoindotto. In tal caso, il pediatra se ne accorgerà subito, poiché i capelli si presenteranno strappati in modo uniforme e in un’area specifica e delimitata del capo.
Si parlerà, dunque, di tricotillomania. In questo articolo capiremo quali sono le cause, le conseguenze e i rimedi per questo disturbo.
«Avete mai notato se il bambino si tira i capelli?», chiede il pediatra. I genitori fanno mente locale e a entrambi viene in mente che in effetti questo episodio si verifica eccome: quando il bambino è in situazioni di noia o disagio tende a poggiare la mano vicino al capo a compiere proprio quell’azione. Se poi tutto ciò si ripete spesso, il bambino finisce per strapparsi i capelli creando una zona di alopecia che può venire inizialmente confusa con diverse patologie dermatologiche. In alcuni casi non si tratta dei capelli: ci sono bambini che si strappano le sopracciglia o più raramente le ciglia. Alcuni si rilassano strappando i peli da peluche o tappeti, con lo stesso meccanismo.
Stiamo parlando della tricotillomania, un comportamento che può essere presente sia nei bambini che negli adulti, caratterizzato dalla ripetitività dell’azione di tirarsi i capelli, talvolta fino a strapparli, che può avere ripercussioni estetiche, ma anche psicologiche sul soggetto e sulla famiglia. Interessa l’1% della popolazione ed è più frequente nelle femmine che nei maschi.
Molti studi ritengono che il problema sia assai sottostimato e si arrivi alla diagnosi solo nei casi più eclatanti, laddove si crea un’area di alopecia, ma ci sono forme sfumate in cui il bambino giocherella con i capelli in modo insistente e compulsivo senza arrivare a strapparli. Si tratta pertanto di un comportamento estremamente diffuso, tanto che probabilmente molti voi in questo momento ricorderanno un conoscente, un compagno di classe dell’infanzia che faceva proprio quanto appena descritto.
Una volta fatta la diagnosi, i genitori vogliono subito sapere perché il loro bambino si comporta così. È colpa loro? Al piccolo è capitato un trauma di cui non sono a conoscenza?
È normale che i genitori restino un po’ spiazzati davanti alla diagnosi di tricotillomania, ma non si tratta necessariamente di un problema grave. Proviamo prima a capire perché avviene.
Le cause della tricotillomania non sono ben note, ma sappiamo che questo comportamento si presenta maggiormente in situazioni di stress e che i bambini lo utilizzano per calmarsi. Somiglia molto all’onicofagia, ovvero il “mangiarsi le unghie”, tanto che spesso le due cose sono associate. Tutto parte da un impulso a scaricare la tensione attraverso un comportamento più o meno volontario che viene agito sul proprio corpo (trattenersi crea tensione, “tirare fuori” in qualche modo, invece, produce calma). Un bambino che si mangia le unghie però non desta preoccupazioni nei genitori, mentre uno con tricotillomania sì. Eppure queste due manifestazioni hanno molto in comune.
I comportamenti con queste caratteristiche vengono definiti “compulsivi” e sono lontanamente imparentati con il disturbo ossessivo-compulsivo, che si presenta quando il soggetto tende ad avere pensieri per l’appunto ossessivi (che riguardano l’igiene o il controllo di sé, della casa, dell’ordine…) e a compiere delle compulsioni, cioè azioni che non riesce a placare. Ad esempio: avverte l’impulso di dover ricontrollare più volte se ha chiuso bene la porta di casa o della macchina, sistema in modo preciso i libri o altro, sente di dover rientrare in casa per essere certo di aver chiuso il gas…
Nei bambini piccoli si potrebbero invece notare le cosiddette “ossessioni di contaminazione”, ovvero il timore di essere contaminati da sporcizia o germi (il che può causare il rifiuto assoluto di entrare in contatto con un determinato oggetto “incriminato” e, in alcuni casi, a eseguire eccessivi lavaggi che devono seguire regole autodeterminate), oppure ossessioni superstiziose che riguardano i numeri (ci saranno quindi numeri “fortunati” e “sfortunati”, e questo può portarli a ripetere un’azione per un determinato numero di volte, o a dover contare fino a un certo numero prima di agire). Ci sono poi le compulsioni di ripetizione (leggere un testo più volte, cancellare e riscrivere parole finché non si fa “nel modo giusto”, entrare e uscire più volte da una porta). In età evolutiva sono poi diffuse le compulsioni di ordine e simmetria.
Ma se è vero che il disturbo ossessivo-compulsivo è una patologia che può diventare invalidante per chi ne soffre (tanto da necessitare, a volte, di una terapia farmacologica), va tuttavia sottolineato che un singolo comportamento compulsivo non rappresenta affatto un campanello di allarme di questo disturbo. Parlarne ci serve solo per capire cosa sono esattamente le compulsioni.
Ma perchè un bambino dovrebbe arrivare a compiere il gesto di strappare i capelli? Alla base sembra esservi una necessità del piccolo di scaricare tensione, attraverso un comportamento ripetitivo che può assumere i connotati di un rituale. Alcuni bambini infatti lo compiono in modo diverso da altri: c’è chi prima arrotola i capelli intorno a un dito e poi li tira, c’è chi li passa meticolosamente tra due dita per avvertire la piacevole sensazione di sentirli lisci, c’è chi si limita a metterli in bocca per succhiarli, o chi dopo averli strappati li ingerisce… La zona interessata può essere a lungo la stessa o può anche variare nel tempo, così come può variare il tipo di rituale. In casi eccezionali, bambini o adulti riescono a deglutire così tanti capelli (tricofagia) da formare dei gomitoli nello stomaco (tricobezoari) che non sono digeribili e richiedono l’intervento medico.
Per tornare alle cause della tricotillomania, in realtà non sono necessariamente gravi. I genitori devono infatti comprendere che i bambini manifestano spesso con il corpo ciò che non riescono a verbalizzare, e questo può essere uno di quei canali di comunicazione.
Tuttavia è bene parlarne con il proprio pediatra per approfondire le motivazioni alla base, indagare cioè se ci sono stati cambiamenti nelle relazioni familiari, nel rapporto con gli amici e/o a scuola, eventuali episodi di bullismo, patologie pediatriche intercorrenti. Già da questo colloquio emergeranno dati utili per comprendere come approcciare il problema, e il medico potrà anche suggerire eventualmente di contattare un esperto del comportamento infantile (pedagogista e/o psicoterapeuta).
Nel frattempo, è bene rassicurarsi sul fatto che i capelli ricresceranno, e che “il buco” scomparirà man mano che il bimbo smetterà di tirarseli.
Ma i genitori del nostro esempio continuano a chiedersi: cosa fare se il bambino si strappa i capelli? Innanzitutto, qualsiasi approccio alla tricotillomania nei bambini va individualizzato. Se ad esempio ci sono fattori di stress che infastidiscono il piccolo e che innescano il problema occorre fare in modo di eliminarli.
Nella maggior parte dei casi il colloquio con il pediatra, il fare squadra con la famiglia e il sostegno degli insegnanti sono sufficienti per le forme più lievi. Quando invece la tricotillomania è ostinata e il bambino continua a strapparsi i capelli, l’approccio più utilizzato è quello della terapia cognitivo-comportamentale, il cui obiettivo è quello di insegnare al bambino a riconoscere la necessità di agire e a scaricare la tensione in altri modi non disfunzionali. Nei casi cronici che non rispondono a questi approcci, la tricotillomania può arrivare a richiedere un intervento multidisciplinare: pediatra, dermatologo, psicoterapeuta e neuropsichiatra infantile. Ci sono anche terapie di tipo farmacologico. In tal caso è il neuropsichiatra infantile a farsi carico del piccolo paziente.
Ma, ancora una volta, va ribadito che il dialogo con il pediatra è sempre il punto di partenza per trovare la soluzione migliore per il piccolo e per l’intera famiglia. Tutto, nella maggior parte dei casi, si risolverà con questo colloquio e con pochi accorgimenti.
Pediatra, nutrizionista infantile ed esperta di benessere digitale. Svolge l’attività di pediatra di famiglia a Senigallia. Realizza quotidianamente divulgazione scientifica sui corretti stili di vita infantile attraverso i social e i suoi corsi per genitori e professionisti, nonché per bambini nelle scuole. È autrice di diversi libri sull'alimentazione infantile.