Durante la gravidanza possono essere compiute molte indagini per valutare lo stato di salute del bambino in arrivo. Tra gli esami proposti più spesso, soprattutto all’inizio della gestazione, troviamo i test di screening, numerosi e diversi per modalità, sensibilità e obiettivo, i quali offrono un calcolo della probabilità che il feto presenti alcune patologie.
Il tritest (o triplo test) è utile per indagare la sindrome di Down (trisomia 21) e altre alterazioni nel periodo del secondo trimestre di gravidanza o se non è stato possibile accedere ad approfondimenti in epoche gestazionali più precoci. Ma cerchiamo di capire più nel dettaglio come funziona questo strumento di indagine.
Il tritest è un esame di screening prenatale non invasivo che consiste nel dosaggio, tramite prelievo di sangue eseguito sulla madre, di alcune sostanze prodotte dal metabolismo feto-placentare, ovvero: alfafetoproteina; estriolo non coniugato; HCG (gonadotropina corionica).
I valori che emergono dal test vengono messi in relazione con alcune caratteristiche della donna:
Il risultato del tritest in gravidanza fornisce alla donna o coppia in attesa una percentuale che indica la probabilità di alcune anomalie cromosomiche del feto. A tal proposito è bene ricordare che il tritest non offre una diagnosi definitiva e certa, ma consente comunque di valutare la possibilità che il bambino in arrivo presenti le patologie prese in esame.
Nello specifico, il tritest è in grado di individuare con una buona percentuale di successo la sindrome di Down e, con una attendibilità inferiore, anche la sindrome di Edwards (trisomia 18) e i difetti di chiusura del tubo neurale come spina bifida, onfalocele, gastroschisi eccetera.
È consigliabile eseguire il tritest tra la 15^ e la 18^ settimana di gravidanza, dunque leggermente più tardi rispetto alla maggior parte degli altri test di screening. Generalmente viene proposto alle donne che scelgono di non compiere approfondimenti prima di quest’epoca gestazionale o che entrano in contatto con la propria ostetrica, con il proprio ginecologo o con il team di riferimento solo successivamente al primo trimestre di gravidanza.
È necessario che i risultati del tritest vengano valutati dal professionista di riferimento. Ad ogni modo è bene sapere che valori più alti o più bassi rispetto ai range di riferimento non sono necessariamente sinonimo di anomalia o patologia.
I valori del tritest possono infatti risultare alterati se ad esempio:
Il tritest, come detto, viene proposto nel secondo trimestre di gravidanza a chi sceglie di non svolgere approfondimenti prima di quest’epoca o a chi entra tardi in contatto con gli specialisti che seguiranno la gestazione.
Generalmente un’alternativa proposta più precocemente rispetto al tritest è il bitest. Vediamo quali sono le differenze tra questi due esami.
Il bitest (o test combinato) consiste nel dosaggio, tramite prelievo alla donna, delle seguenti sostanze: free b-HCG (frazione libera di gonadotropina corionica) e PAPP-A (proteina plasmatica A). A questi valori viene associato quello della translucenza nucale (ecografia che permette di valutare il rischio di anomalie cromosomiche nel feto misurando lo spazio tra nuca e colonna vertebrale), oltre che l’età materna e altri eventuali fattori di rischio.
Il bitest, così come la translucenza nucale, è un’indagine di screening eseguibile tra l’11^ settimana e la 13^ settimana + 6 giorni (13 settimane + 6 giorni è considerato il momento in cui termina il primo trimestre di gravidanza). Il risultato consente di individuare con ampia affidabilità feti affetti da:
Le differenze sostanziali tra bitest e tritest sono:
Ancora una volta è bene sottolineare che i test di screening hanno un margine di errore. Più nello specifico vi è probabilità di falsi positivi, ossia che il risultato del test indichi un alto rischio di anomalie che invece non ci sono. Meno probabili sono invece i falsi negativi, cioè che al test sfugga la presenza di un problema. Ad ogni modo, nel caso di risultato positivo, ossia di alta probabilità che il feto abbia una delle patologie indagate, la donna o la coppia può scegliere di fare, in base all’epoca gestazionale, indagini prenatali invasive come la villocentesi o l’amniocentesi, così da ottenere una diagnosi più precisa.