I genitori di Alice si sentono “imperfetti” perché non riescono a gestire serenamente le uscite familiari. Raccontano che, da quando è nata la bambina, le loro relazioni sociali si sono di fatto annullate, e sono concentrati unicamente sui bisogni della piccola, oppure sono troppo stanchi per poter uscire la sera. «Ho ripreso a dormire per più di due ore di fila solo dopo che Alice ha compiuto 18 mesi», dice la mamma. «Nei primi tempi gli amici ci invitavano spesso a uscire. “Portate anche lei”, dicevano. Poi, di fronte ai nostri continui rifiuti, il telefono ha smesso di squillare».
Adesso Alice ha 2 anni, è una bambina allegra e curiosa, dorme sette ore di fila a notte e la gestione delle routine familiari sembra essere più semplice. I genitori hanno ritrovato un po’ di energie e il desiderio di trascorrere del tempo da soli, in coppia e con gli amici. I primi tentativi, però, non sono andati per il meglio: «Adesso Alice non sta ferma un attimo! Se la portiamo fuori tocca tutto, corre in giro, fa i capricci se non ottiene ciò che vuole. Sappiamo che non si dovrebbe fare, ma l’unico modo che abbiamo per farla stare buona è darle il tablet con giochi e cartoni. Solo così, ogni tanto, riusciamo a terminare una cena al ristorante. Cosa possiamo fare?!».
Se provassimo a pubblicare in rete, ad esempio in un post su un social network, la domanda dei genitori di Alice, si creerebbero, purtroppo, diverse “fazioni” di pensiero e molte discussioni, che aprirebbero la strada a facili generalizzazioni o a giudizi sulle varie soluzioni scelte dai genitori. «Bisogna portare i bambini dappertutto e insegnargli fin da piccoli ad adattarsi a qualunque situazione», sosterrebbe qualcuno, mentre, secondo il parere di altri, è più giusto ricorrere all’appoggio dei nonni o di una baby-sitter. E ancora: quelli che si indignano perché secondo loro «non si fanno i figli se poi devi abbandonarli!»; quelli che mappano a tavolino i locali kids friendly della loro zona; quelli che escono solo con altre famiglie con bambini, e così via.
È fondamentale che i bisogni di tutti i componenti del nucleo familiare, dal più piccolo al più grande, vengano ascoltati e rispettati. Ma ciò non vuol dire dover “accontentare” sempre e per forza ogni singolo desiderio di ognuno.
Al centro, ovviamente, devono essere messe le esigenze del neonato, che non può soddisfare autonomamente i propri bisogni e dunque necessita delle cure genitoriali: il sonno, l’alimentazione, il contatto sono alcune priorità da tenere a mente rispetto alla scelta delle attività sociali che si desidera svolgere.
Se il piccolo ha pochi mesi, non lo porteremo certo con noi allo stadio né al centro commerciale; cercheremo invece di fargli respirare aria salubre e di rispettare la sua routine, ma senza esagerare con l’istinto di protezione: uscire (anche col freddo!), passeggiare, viaggiare, organizzare un pranzo con amici sono attività senza controindicazioni, se vissute con piacere.
Man mano che il bambino cresce, le sue esigenze e la sua capacità di adattamento a situazioni diverse cambiano e diventano più difficili da riconoscere. Un esempio è il bisogno di movimento: se è certamente possibile educare un bambino di 2-3 anni a mantenere un po’ di pazienza a tavola durante una cena tra adulti, non è altrettanto corretto chiedergli di restare fermo e buono senza “disturbare” per ore.
La maggior parte dei cosiddetti capricci del bambino (urla, pianto, agitazione) sono, in realtà, la sua risposta a situazioni per lui inadeguate.
Quella di “placare” e tenere a bada i bambini mettendoli davanti a dispositivi digitali è una soluzione molto pericolosa, in quanto nociva per la loro salute psicofisica.
È altrettanto importante che i genitori imparino a separarsi dai figli, per dare spazio anche alla cura della propria persona, della coppia, delle relazioni con gli amici, il tutto senza la presenza costante dei bambini. Attenzione, quindi, a pensieri categorici del tipo «mio figlio sta bene solo con me». Fargli trascorrere del tempo con nonni, parenti, amici o una fidata baby-sitter non è affatto traumatizzante per la sua mente e, al contrario, può essere un’opportunità arricchente di esperienze e relazioni nuove. Inoltre, dedicando del tempo a noi stessi, diamo al piccolo anche un buon esempio per il suo futuro e gli insegniamo a rispettare le attività di tutti i membri della famiglia.
Anche saper distinguere i diversi contesti può esserci di aiuto. La maggior parte delle attività, dei luoghi, delle esperienze e delle situazioni sociali che si presentano nel quotidiano si possono vivere “tutti insieme” in assoluta serenità, giusto con qualche accortezza in più per i piccoli. In alcuni casi, invece, quando pensiamo che il luogo o la situazione non siano idonei alle esigenze dei bambini, è opportuno cercare altre soluzioni, senza forzare le loro capacità di adattamento o pretendere un comportamento che non può appartenergli per età e maturazione. Ricordiamoci sempre che, ovunque siamo, i bambini devono poter essere bambini.
Come riuscire a far convivere le singole e diverse esigenze all’interno di una famiglia? Spesso basta un po’ di “buon senso” educativo, ovvero valutare quale può essere la scelta più adatta in base alle circostanze, bambino per bambino, genitore per genitore, famiglia per famiglia. Una buona organizzazione è la chiave del successo; ecco quindi alcuni accorgimenti utili anche nel caso di famiglie numerose, per le quali, a volte, uscire di casa sembra un’impresa insormontabile:
pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione e accompagnamento alla morte e all’esperienza della perdita, si occupa di famiglie adottive e lavora come formatrice per gli operatori di nidi e scuole dell’infanzia nella provincia di Messina. È stata vicedirettrice di Uppa magazine dal 2018 e dal 2022 ne è diventata direttrice.