Si discute molto, sui media tradizionali e sui social network, sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini, come se fosse un tema sul quale le opinioni personali contano quanto i fatti acquisiti dalla ricerca scientifica. Viene da chiedersi come mai non si discuta altrettanto vivacemente sul trattamento dell’infarto del miocardio o sulla pericolosità dei Raggi X, come in effetti si chiede acutamente la dottoressa Lisa Rosembaum in un editoriale appena pubblicato sul New England Journal of Medicine.
Ma ovviamente la risposta è che se un argomento perde la sua natura nuda e cruda di fatto scientifico e diventa terreno di scontro ideologico e perfino politico, la comunicazione diventa improvvisamente difficile, se non impossibile.
Quando ci si trova in queste condizioni di invasione del campo della scienza da parte del dibattito sociale e politico, e vale per i vaccini, ma anche per il riscaldamento globale, improvvisamente non contano più i fatti, ma gli schieramenti. Lisa Rosembaum parla di “posizionamenti tribali” che non sono interessati ai fatti scientifici, quanto esclusivamente al proprio senso di appartenenza. «Dobbiamo smettere di credere che lo scetticismo rifletta una carenza di conoscenza», scrive, «e che quindi sia possibile porvi rimedio fornendo dei fatti. Quando il dubbio è avvolto in una propria identità culturale o in forti emozioni, i fatti spesso non solo falliscono il compito di persuadere, ma possono ulteriormente consolidare lo scetticismo. Un fenomeno spesso chiamato assimilazione faziosa, che è stato dimostrato in molti ambiti, dalla pena di morte, ai cambiamenti climatici, ai vaccini. Uno studio ha dimostrato che genitori esitanti se vaccinare o no il proprio figlio, sono diventati ancora meno propensi a vaccinarlo quando venivano loro date informazioni che smascheravano il mito che i vaccini possano causare l’autismo».
Il dubbio e il sospetto contro la scienza possono quindi rendere impermeabili ai suoi dati e alle sue conclusioni, per quanto forti e inequivocabili essi possano essere agli occhi dell’élite scientifica. Perché questo è forse il cuore del problema. Chi ha una formazione scientifica e lavora all’interno di istituzioni fondate sulla scienza non si rende sufficientemente conto di quanto appartenga di fatto a un’élite, mentre la stragrande maggioranza delle persone si identifica piuttosto in gruppi che possono semplicemente essere “contro” e per i quali i fatti ritenuti incontrovertibilmente scientifici dall’élite puzzano di imbroglio. Più vengono sostenuti dall’élite, magari con una punta di disprezzo verso chi sembra proprio non capire, più lo scontro si radicalizza. D’altra parte, a pensarci bene, anche tra gli scienziati spesso si creano appartenenze radicalizzate a sottogruppi che continuano a scontrarsi per anni a colpi di ricerche e fatti, senza che si arrivi a una composizione. Le differenze di posizione, le appartenenze tribali, esistenti al momento all’interno della comunità scientifica sullo screening della mammella è solo uno dei tanti esempi possibili.
Il fatto è che oggi la scienza viene vista come una delle tante istituzioni alle quali è legittimo opporsi, non con diverse posizioni scientifiche, ma ponendosi semplicemente al di fuori del suo ambito. La scienza, e la medicina in particolare, ha dato colpevolmente adito a sospetti per alcuni suoi comportamenti troppo disinvolti nel confronti di conflitti di interesse economici o accademici e quindi ha molte colpe. Sarebbe ora che la comunità scientifica vigilasse maggiormente sulla sua integrità etica e che si impegnasse in tentativi di comunicazione con la controparte che nella scienza oggi si riconosce sempre meno.
Bisogna evitare quello che secondo Lisa Rosembaum è “lo scontro tra scienza e credenza”. Il rischio è che attraverso questo scontro si approdi a quella che è stata chiamata l’epoca della post-verità, alla quale l’inserto Robinson di Repubblica del 30 aprile ha dedicato ampio spazio. Un’epoca postmoderna, come scrive il filosofo Maurizio Ferraris, intensamente segnata dal web, nella quale «l’umanità non è interessata a sapere il vero, ma ad avere ragione e a trovare conferma delle proprie convinzioni, ossia si è appropriata, in un momento di intensa democratizzazione, delle prerogative delle élite».
Quindi la scienza, e di nuovo la medicina basata sulle prove in particolare, deve mobilitarsi trovando non facili vie di dialogo con un’umanità che sembra non più interessata al vero, altrimenti rischia di trasformarsi in un’élite sempre più ristretta, che opera in maniera isolata e che potrebbe essere rapidamente scalzata dalle posizioni che contano nella società.