Dopo qualche difficoltà iniziale, l’allattamento è finalmente decollato e procede senza intoppi. Intorno alla mamma tutti sono contenti e fioccano le parole di apprezzamento e ammirazione. La bimba cresce, supera i 6 mesi, inizia a mangiucchiare altro cibo fuori dalle poppate… E pian piano cominciano a insinuarsi i primi dubbi: fino a quando è giusto continuare ad allattarla? Quando è il momento di “svezzarla”? A questo punto, non di rado, la mamma deve scontrarsi con le critiche e la disapprovazione delle persone che la circondano.
Poco importa infatti che l’OMS, l’Unicef e tutte le organizzazioni scientifiche di settore raccomandino l’allattamento per due anni e oltre, finché mamma e bambino lo desiderano: nella nostra società, una donna che decide di continuare ad allattare un bimbo più grandicello incorre in una serie infinita di critiche: «Lo allatti ancora? Ormai è grande!», oppure: «Il tuo latte ormai è acqua». E come la mettiamo con l’autonomia? I dubbi principali, infatti, ruotano proprio attorno allo sviluppo psicologico del bambino: «Lo stai viziando, crescerà mammone!».
Oltre alle critiche, arrivano purtroppo anche giudizi molto pesanti, a volte proprio da parte dei pediatri e degli operatori sanitari che seguono le famiglie: dalla colpevolizzazione della donna, accusata di usare l’allattamento come strumento di autogratificazione, all’insinuazione di “anormalità psichica”, come se l’allattamento fosse il sintomo di un rapporto deviato fra mamma e bambino. Ci sono poi situazioni in cui un allattamento che continua dopo l’anno di età viene usato come strumento giudiziario contro le donne nei casi di divorzio.
I detrattori dell’allattamento a termine descrivono il bambino come vittima di questi comportamenti “anormali”, ai quali il piccolo reagirebbe diventando aggressivo, possessivo oppure evitante, per cercare di sfuggire al supposto ipercontrollo.
Da questo quadro carico di negatività non si salva neppure il padre, il quale, favorendo tale prosecuzione, viene accusato di connivenza. E i medesimi pregiudizi investono anche chi cerca di sostenere le famiglie nella loro scelta: i professionisti subiscono accuse non proprio velate, e vengono definiti di volta in volta “esaltati”, “accaniti” o “talebani”, forse anche loro vittime di qualche disturbo psichico.
Quando parliamo di allattamento non ci riferiamo soltanto a un modo di nutrire il bambino (in questo articolo approfondiamo le differenze tra latte materno e formule artificiali), ma a una relazione complessa e agli effetti che essa può avere sullo sviluppo cognitivo e psicomotorio, sul comportamento e sul benessere psicologico del bambino che cresce; effetti che si riflettono positivamente sia sulla madre sia sulla società.
Sono state condotte diverse ricerche che sembrano dimostrare l’esistenza di una correlazione positiva fra una maggiore durata dell’allattamento e un miglioramento della memoria, delle prestazioni motorie e delle abilità linguistiche del bambino. Secondo un recente studio pubblicato su un’autorevole rivista medica, più a lungo i bambini vengono allattati, maggiori sono le probabilità che realizzino il loro potenziale genetico, diventando adulti istruiti e con buone possibilità di inserimento sociale. L’allattamento ha un impatto positivo anche sulla modulazione del temperamento del bambino. Sembrerebbe infatti che i bimbi allattati per periodi più lunghi abbiano atteggiamenti meno aggressivi e rispondano in maniera più positiva e accogliente ai comportamenti degli altri. Questo potrebbe essere in parte spiegato dalla presenza nel latte materno di particolari nutrienti, gli LC-PUFA (acidi grassi polinsaturi a lunga catena), coinvolti nello sviluppo del cervello in una specifica fase di crescita che si verifica prevalentemente nei primi due anni di vita. Ma un ruolo fondamentale ha certamente anche il rilascio di ormoni del benessere, primo fra tutti l’ossitocina.
L’allattamento, sulla mamma, ha innanzitutto effetti emotivi positivi: diminuzione dell’ansia, miglioramento del tono dell’umore, maggiore autostima. Si registrano anche ricadute positive sullo stato di salute complessivo, con un sonno qualitativamente migliore, la riduzione della pressione arteriosa e una frequenza cardiaca più stabile. Si avverte insomma un maggior benessere, fisico ed emotivo, frutto probabilmente anche in questo caso dei benefici dell’ossitocina.
Attraverso il tocco, il calore, lo scambio di sguardi, la pronta reattività ai bisogni del piccolo, l’allattamento rientra quindi a pieno titolo in tutte quelle buone pratiche che favoriscono l’instaurarsi di un solido attaccamento con le figure di riferimento. E questo tipo di attaccamento, secondo gli psicologi, fornisce una “base sicura” importantissima per lo sviluppo dell’autonomia nel bambino.
L’allattamento è una relazione intima e solo i due protagonisti possono sapere quando è arrivato il momento di interromperla e trasformarla in qualcosa di diverso. Il bambino, cresciuto in un ambiente sicuro, è del tutto competente, e quando sarà pronto potrà, senza difficoltà e per gradi, diventare autonomo. Allo stesso modo, ogni mamma, in un contesto familiare sereno e positivo, è perfettamente capace di accompagnare il piccolo verso il distacco. Lasciamo quindi che gestiscano con serenità il loro legame unico e irripetibile.
Ecco le conclusioni cui è giunto nel 2014 il tavolo tecnico del Ministero della Salute per la promozione dell’allattamento: «L’allattamento al seno di lunga durata non interferisce negativamente sulla progressione dell’autonomia del bambino e sul benessere psicologico e/o psichiatrico della madre. […] Risulta al contrario ben provato che l’allattamento al seno contribuisce al benessere cognitivo, emotivo, familiare e sociale del bambino, aggiungendosi al peso determinante dei fattori genetici, delle competenze allevanti familiari e dei fattori socio-economici». Parole chiare, che ribadiscono con forza concetti che la scienza sostiene da tempo.
pediatra, consulente professionale in allattamento IBCLC e insegnante di massaggio infantile AIMI, esegue consulenze specialistiche sull’allattamento per futuri genitori e neogenitori, aiutandoli a risolvere eventuali difficoltà prima e dopo la nascita, e in qualunque fase dell’allattamento.